La leggenda del cacciatore di vampiri, regia di Timur Bekmambetov. Sceneggiatura di Seth Grahame-Smith. Con Benjamin Walker, Dominic Cooper, Anthony Mackie, Mary Elizabeth Winstead, Rufus Sewell.
Abramo Lincoln? In realtà era un supereroe cacciatore di vampiri e la guerra contro il Sud la proclamò per salvare l’America da un’armata tenebrosa dai denti aguzzi. Questo ci racconta il film, ed è la cosa più scema che si sia vista al cinema da parecchio tempo in qua. Oltretutto La leggenda del cacciatore di vampiri si prende maledettissimamente sul serio. Peccato, con più coraggio e autentica demenza sarebbe potuto diventare interessante. (E adesso per un anno lasciateci in pace con i film di vampiri. Grazie.) Voto: 4Cosa c’è da aspettarsi da uno che ha avuto il fegato di scrivere un romanzo che si chiama
Orgoglio e pregiudizio e zombie mescolando l’incolpevole
Jane Austen ai morti viventi? Che poi ha co-sceneggiato
Dark Shadows, cioè uno dei film più brutti degli ultimi anni? Da lui, il signor
Seth Grahame-Smith, c’è da aspettarsi il peggio, ecco. Soprattutto quando vedi nei credits accanto al suo nome (come sceneggiatore, ovvio) ancora quello di
Tim Burton (come produttore stavolta). Dio mio, ti dici, si è ricostituita l’associazione a delinquere. Difatti questo
La leggenda dei cacciatori di vampiri fa abbastanza schifo, però meno di
Dark Shadows, perché il regista – il russo-kazaco Timur Bekmambetov, quello per capirci di
Wanted con Angelina – almeno non timburtoneggia e non se la tira da Grande Autore Visionario e si limita a impaginare con tutti gli effettacci speciali del caso badando al sodo e ad accontentare il suo pubblico-popcorn. Però, storia assurda, anzi irrimediabilmente cretina. Sarò anche parruccone e bacchettone e insensibile ai film fracassoni tanto amati dalle giovani generazioni di critici e spettatori, ma insomma signora mia c’è un limite a tutto. Trasformare Abramo Lincoln in cacciatore di vampiri, perché questa è l’idea geniale partorita dal suddetto Seth Grahame-Smith (in romanzo prima che in sceneggiatura), è pura spazzatura, non ce n’è. Ci fosse almeno un minimo di ironia, macchè, qui tutto è seriosissimo e noi dobbiamo vederci il buon presidente Lincoln papà della patria americana che proclama la guerra contro il Sud mica per fermare la secessione, mica per eliminare la vergogna della schiavitù, no, lui la guerra la promuove da
Washington perché deve fermare l’Armata delle tenebre vampira-succhiasangue che si è alleata con i sudisti confederati al fine di impadronirsi dell’America tutta e poi del mondo. Ci rendiamo conto? Revisionismo al sangue. La guerra civile americana vista come lotta del bene contro le demoniache creature dai canini aguzzi. Un cazzata, ecco. Che non riesce nanche a sprigioniare la minima suggestione, essendo privo il film di ogni carica surreale, di ogni accensione autenticamente folle e fantastica. No, è solo una macchina narrativa che, stabilite le sue premesse sceme, poi continua inesorabile e ferrigna la propria corsa con la pesantezza insostenibile di un trattore sovietico. Tutto incomincia con Lincoln bambinello cui un vampiro uccide la mamma, una mamma adoratissima che lo aveva cresciuto nel massimo rigore democratico e politically correct insegnandogli che “finchè ci sarà uno schiavo saremo tutti schiavi”. Ovvio che il suo migliore amico è un coetaneo nero (con gran scandalo dei benpensanti del villaggio), sicchè quando lo vediamo giocare con lui già capiamo che Abramo è destinato a diventare il paladino dell’eguaglianza, il presidente dell’abolizione della schiavitù. Però lui da grandicello per anni e anni ha solo un’idea fissa, vendicare la mamma e trovare e uccidere il mostro assassino. Finchè incoccia in un cacciatore di vampiri che gli insegna il mestiere di ammazza-succhiasangue. Ne macella un po’, il buon Abramo, grazie anche alla sua speciale ascia che fa volteggiare da virtuoso (con qualche acrobazia da wuxiapian qua e là), solo che quando più tardi scende in politica e si sposa decide di mettere la testa a posto e lasciar perdere. Non sta bene che un affermato avvocato con ottime prospettive a Washington se ne vada in giro di notte a fracassare teste, per quanto vampire. Ma una volta diventato presidente sarà costretto a ritornare all’antica specialità e dissotterrare l’ascia anti-canini per salvare l’America e il mondo. Gran finale, con un treno impazzito su un ponte in fiamme e assalti vampireschi-zombeschi (le due mostruosità tendono a sovrapporsi). Poi, a cose sistemate e missione compiuta, ecco che una sera il nostro decide di andare a teatro, mannaggia (non vediamo le conseguenze, ma le conosciamo). Però peccato, con più coraggio e autentica demenza – questa qui è tutta finta e azzimata – si sarebbe potuto fare un film assolutamente delirante e tentare la strada del culto.
La leggenda del cacciatore di vampiri la sua idea cretina non sa trasformarla in
sublime cazzata, la prende malaguratamente assai sul serio sfracellandosi al suolo. Mancano anche qualsiasi sottigliezza e qualsiasi capacità di transustanziare la greve materia in metafora, in qualcosa che sta per qualcos’altro. A peggiorare la situazione c’è Benjamin Walker, lungagnone inespressivo che fa di Lincoln un manichino perennemente imbambolato. Il meglio è Dominic Cooper, uno dei più bravi attor giovani in circolazione (vederlo in
An Education e
Tamara Drewe per credere), ambiguo, autenticamente tenebroso e luciferino come maestro cacciatore di vampiri, così bravo che da solo ci fa capire cosa sarebbe potuto diventare questo film e invece non è diventato. Come strega vampira giganteggia Erin Wasson, un incrocio tra
Patty Pravo e
Faye Dunaway più un che della segaligna Hilary Swank, lei sì di culto. (Che poi certe cose non le ho capite: perché alcuni umani azzannati dai vampiri muoiono – ad esempio la mamma di Abramo – mentre altri si trasformano a loro volta in vampiri? Cos’è questo doppio standard? Il signor Seth Grahame-Smith si metta d’accordo con se stesso e ci spieghi).