Arancia meccanica, Iris, ore 21,02.
Forse non il Kubrick più grande (personalmente gli antepongo almeno 2001: Odissea nello spazio e Barry Lyndon), ma di sicuro il più profetico, anticipatorio, anche probabilmente il più influente sulle generazioni successive di cineasti. Dopo quel 1971 in cui apparve, ogni rappresentazione della violenza al cinema ha dovuto fare i conti con questo epocale Arancia meccanica. Alla base un romanzo di Anthony Burgess abbastanza indigesto, un miscuglione di sci-fi e psicosociologismo con intenzioni moraleggianti, qualcosa che si riallaccia ambiziosamente alla letteratura socio-fantastico-apocalittica alla 1984 e La fattoria degli animali (senza eguagliarli), di cui Kubrick si impadronisce adattandolo a se stesso, alle proprie ossessioni e al proprio fare cinema. Nel solito futuro prossimo (se era prossimo allora, rispetto all’oggi dove si collocherà? è ieri? è ancora domani?), in una Londra megalopoli inquietante, si muove l’adolescente Alex, teppista, delinquente per vocazione, capo della banda dei Droogs con cui compie orrendi misfatti.
Hanno una divisa bianca, bombetta nera, sospensori a vista, brandiscono mazze, Alex ha gli occhi bistrati e cattivi, ha la faccia che non dimenticheremo più di Malcolm McDowell, che già si era imposto in If di Lindsay Anderson e qui nel ruolo della vita, quello che lo segnerà per sempre. Verrà beccato, Alex, e sottoposto a una riabilitazione-brainwashing a base di Ludovico Van, come lo chiama lui, vale a dire Beethoven. Molte cose, anche troppe, ma Kubrick mette a punto un modello di messinscena della violenza che si fisserà come paradigma nuovo. Dopo di lui e dopo questo film nulla sarà come prima. Così come Psyco di Hitchcock segna uno spartiacque nell’horror, così Arancia meccanica nel rendere per immagini le pulsioni più basse e bestiali dell’umano. Kubrick varca una soglia, e non si tornerà più indietro. Ancora perturbanti quelle scene della banda coreografate al suono di Singin’ in the rain, e la sequenza terribile, insostenibile dell’irruzione nella casa borghese con stupro. Kubrick scandaglia abissi mai esplorati, si addentra nelle più lutulente paludi dell’umano fregandosene dei miasmi. Fonda, bisogna pur dirlo, il porno della violenza, una violenza che lui spettacolarizza come nessuno prima, che glamourizza e sa rendere sinistramente fascinosa. Violenza come atto gratuito, violenza come puro piacere. C’è una consapevolezza della belluinità e anche della morte che sgomenta ancora oggi, e Alex resta un riferimento, con la sua faccia biaccata, i suoi occhi spalancati (eyes wide shut). Continua a ispirare, a essere copiato. Quel capolavoro che è Bronson di Refn, per citare un titolo, non esisterebbe senza Arancia meccanica. Se poi vogliamo metterla sul sociopolitico, bisogna riconoscere che A clockwork orange (questo il titolo originale) anticipa davvero incredibilmente la violenza diffusa che prenderà piede e spazio nei decenni successivi nel nostro Occidente. Quel teppismo, quel comportamento criminale che allora sembra fantascientifico è quello di oggi sotto i nostri occhi. Assalti ai barboni. Simboli nazi esibiti. Irruzioni in ville e villette che, su scala brianzola o veneto nord-est, ripropongono quella del film. Arancia meccanica è qui, si è incarnata nel reale.
Magazine Cinema
Film stasera sulla tv in chiaro: ARANCIA MECCANICA (lunedì 18 novembre 2013)
Creato il 18 novembre 2013 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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