In pochi giorni abbiamo assistito, chi mediaticamente e chi personalmente, a due funerali in cui le salme sono state accompagnate ai rispettivi domicili conclusivi sulle note di Bella Ciao. Abbiamo salutato così due persone piuttosto di valore e ci siamo commossi perché usare una marcia trionfale come marcia funebre crea una sorta di ossimoro esperienziale. Parole piene di vita cantate al cospetto della morte. Ma il punto è che ciò significa che ci sono al mondo due persone in meno che vorrebbero sentire e cantare Bella Ciao, due occasioni perdute per levare in aria braccia e pugni, e lo so che è la danza del Primo Maggio e che per i più è ormai solo una hit da demago-rock, ma prima della sovraesposizione ai balli di piazza della sinistra è importante continuare a considerarla una eco del novecento, da tenere da qualche parte nei nostri libri di storia, come una volta si faceva con le foglie e con i fiori stretti tra le pagine. Quei fiori dell’ultimo verso, depositati al cospetto di altre lapidi a memoria della libertà. Ma si tratta purtroppo di un processo ineludibile, son cose vecchie come Franca Rame e Don Gallo, ognuno muore e se ne porta via una nota o una battuta dallo spartito e arriverà il giorno in cui ci dovremo accontentare di quello che sarà rimasto, e chissà a commemorazione di chi.
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