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Il romanzo è il quarto della serie che ha come protagonista l'ispettore Stucky, mezzo veneziano e mezzo iraniano, che si ritrova immischiato in uno strano caso di suicidio: un uomo, il conte Ancillotto, viene ritrovato in pigiama, morto, sulla tomba di famiglia, con accanto una magnum di champagne. Ed è strano, molto, molto strano che un grande produttore di prosecco si faccia trovare morto con accanto una bottiglia di uno dei suoi maggiori concorrenti. E ancora più strano che, qualche giorno dopo, nello stesso paese del conte Ancillotto, avviene invece un omicidio, quello dell'ingegner Speggiorin, direttore del detestato cementificio locale. Che i due casi siano più legati di quanto possano sembrare? E soprattutto, davvero l'erede del conte Ancillotto, Celinda Salvatierra, vuole sostituire le viti con una piantagione di banane?
Anche in questo caso, c'è una forte componente regionale nello stile di Ervas. Una componente che, per chi conosce poco quelle zone, all'inizio risulta un po' ostica. A poco a poco però ci si abitua a questo linguaggio, ai buffi "antimama!" pronunciati da Stucky e dai suoi, e ci si ritrova immersi in una storia che è molto meno leggera di quanto possa all'apparenza sembrare. C'è un dolore di fondo, accompagnato da una certa poesia, personificata da Isacco Pitusso, il matto del paese, che passa le sue giornate a grattare via la ruggine dalle tombe di alcune persone, di cui racconta la storia, in una sorta di Antologia di Spoon River (sono sicura che Edgar Lee Masters, se avesse letto il libro, mi perdonerebbe questo paragone sicuramente un po' ardito), sperando così che non vengano dimenticate.È difficile spiegarvi esattamente quello che ho provato leggendo senza fare spoiler. Perché al di là dello stile di Ervas, che può piacere o meno e che, devo ammettere, a volte risulta poco scorrevole; al di là dei suoi buffi personaggi e della vita di paese che riesce a raccontare così bene; al di là della trama gialla, delle scene comiche (ah, le due vicine di casa di Stucky!) e del vino, il romanzo racconta una storia che è comune, purtroppo, a molti paesi d'Italia, che troppo spesso prima hanno sfruttato e poi si sono domandati quanto male potesse fare agli altri quello che stavano facendo.
Sicuramente se fossi partita dal primo romanzo della serie avrei avuto meno difficoltà a raggiungere una certa familiarità con i personaggi, conoscendone già il passato e le caratteristiche, e quindi ad apprezzare meglio lo stile dell'autore. Però devo ammettere di essere rimasta piacevolmente stupita (e anche un po' commossa, sebbene mai avrei pensato che un libro con un titolo così, Finché c'è prosecco, c'è speranza avrebbe potuto farmi un effetto del genere... considerando che a me nemmeno piace il prosecco), al punto che mi è venuta voglia di leggere anche tutti gli altri.
Con Se ti abbraccio non avere paura non ha assolutamente nulla a che fare, ovviamente, però se il successo avuto da quel libro è servito per far conoscere anche gli altri romanzi di Ervas, come è successo ad esempio con me, ne sono davvero molto felice.
Titolo: Finché c'è prosecco c'è speranza
Autore: Fulvio Ervas
Pagine: 301
Editore: marcos y marcos
Anno: 2010
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formato brossura: Finché c'è prosecco c'è speranza
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