“Fin che vedrai sventolar bandiera gialla tu saprai che qui si balla” cantava così Gianni Pettenati nel 1966, nel periodo in cui i ragazzi italiani stavano scoprendo il mondo, idolatravano l’Inghilterra e i Beatles e la sera scappavano da casa per andare a ballare al Piper.
Bandiere gialle ce ne erano tante oggi, sui muri antichi e insidiosi del Giro delle Fiandre, con il leggendario leone rampante che veglia da sempre sulle grida del pubblico e sui denti stretti dei corridori. Si balla, sì, sotto quelle bandiere gialle. Si balla tremendamente sul pavè sconnesso, aggrappati a una strada diritta e in salita, dove non si possono perdere nemmeno pochi centimetri, dove i piedi non possono smettere di mulinare, altrimenti qualcun altro lo farà di più. Niente Piper sul Koppenberg o sul Vecchio Kwaremont: le ragazze in minigonna qui sono i brevi tratti a lato della strada che non hanno la tortura dei sassi aguzzi. E ce ne sono veramente pochi, quando li si incontra sembrano un breve sorso di salvezza.
Si balla furiosamente perché non c’è altro da fare: è la strada che lo chiede.
E come in tutte le piste da ballo ci sono sempre ballerini che danno spettacolo. Ballerini che, magari, non sono proprio fatti per quella pista. Come André Greipel, con addosso il destino da velocista, che ha avuto il coraggio di attaccare quando i chilometri che mancavano all’arrivo erano ancora a tre cifre. André tiene duro fino al secondo passaggio sul Paterberg: si è inventato un nuovo sé stesso, la grinta che mette nelle sue volate l’ha regalata ai sassi astiosi del Belgio ma la strada non perdona. Le gambe rimproverano il cuore di aver chiesto troppo e perde la ruota dei compagni di fuga. Torna lentamente nel gruppo, nella folla di tutti quelli che, lì davanti, sono impegnati a incoraggiare sé stessi, a dirsi che finché ci sono quelle bandiere, finché ci sarà il pavé sotto le ruote bisognerà ballare per forza. Un ballo senza sosta, dal quale non si può rimanere esclusi se si vuole arrivare alla fine. E Kevin Hulsmans, fedele e attento, lo sa. Ne è consapevole fino in fondo, anche quando si volta e vede che il suo Capitano giallo fluo, Oscar Gatto, ha forato e sta lentamente scivolando a lato del gruppo. Le ammiraglie sono lontane e non si può perdere tempo, non si può smettere di andare avanti. Mai. Perciò Kevin si ferma, gli dà la sua ruota e dopo che Oscar risale in sella, lo spinge con la mano, arrancando coi tacchetti sull’asfalto. Di nuovo in corsa, di nuovo in ballo, a stare là, al vento o coperto, comunque dove c’è vita, dove ogni scatto fa drizzare le orecchie, guizzare le gambe. Là dove la musica continua, dove ogni ritmo non può discostarsi da quello degli altri. Là ci sono anche Manuel Quinziato e Daniel Oss, tenaci alfieri italiani che sono rimasti sempre davanti, incollati alle ruote dei migliori, fino alla fine, pur sapendo che il loro capitano BMC era fuori dai giochi. Là c’è Peter Sagan, che nel suo sorriso si porta dietro il suo sogno di bambino: dominare sul pavé. Ha abbastanza tenacia, Peter, per stare dietro a Fabian Cancellara che sembra non sentire gli scossoni dei muri. Ma ha anche abbastanza umiltà per dire che sì, oggi lo svizzero era più forte. Ne ha abbastanza per far vedere a mezzo mondo che càpita anche ai ragazzi prodigio di non averne più sulla bicicletta, che succede anche a loro di essere stanchi, di avere le gambe che protestano.
Saprai quando c’è bandiera gialla che la gioventù è bella. Sì, è veramente bella questa gioventù che balla da cento anni sotto le bandiere gialle del Fiandre. Perché in bicicletta si è sempre ragazzi. E i ragazzi sanno ballare anche nel freddo di una primavera che tarda ad arrivare, su sassi aguzzi che bucano le ruote. Sì, i ragazzi in bicicletta sanno ballare fino alla fine, stringendo le mani sui manubri, regalando al vento i loro volti senza rughe, eppure temprati dalla fatica. Fino alla fine, seguendo sempre la fede di un ritmo che hanno dentro, che ha gli stessi accordi delle loro gambe e del loro cuore. Che non finisce mai. Mai, finchè ci sarà strada, finchè ci sarà vita.