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Inutile. Suo padre non lo stavamai a sentire. Salvo gliel’aveva detto che non gli andava disistemarsi lì, nello scompartimento adiacente la toilette,gliel’aveva ripetuto cinque volte che troppo rumore e andirivienigli avrebbero reso il viaggio insopportabile. Niente da fare.“Certo, tanto sono io quelloche deve viaggiare!”“Sì, però così se ti scappanon t’allontani troppo dai bagagli!”, ribatté l’anziano.“Sempre in piedi come i gatti,vero papà? Ora però scendi che stiamo partendo…”“Salvuzzo,mi raccomando, fai buone cose a Roma. E appena arrivi chiama, non telo scordare…”Era dalla sera precedente che nonsi rivolgevano la parola. Si erano coricati col veleno allo stomacoper via della solita litigata e adesso stavano cercando il modomigliore per lasciarsi.“Stammi bene, papà…”, es’abbracciarono a lungo. Poi Salvo l’accompagnò all’uscita el’aiutò a scendere il predellino. Faceva freddo quella mattina,non sembrava di stare a Siracusa.“Se vuoi andare a casa vai…”,gli accennò un attimo dopo dal finestrino. Tempo perso. Restare finoalla fine, col braccio levato in aria a salutarlo, era per suo padreun impegno dal quale non si sarebbe mai potuto esimere.
“Testazzadura…”1,pensò Salvo con la fronte poggiata sul vetro sporco. Era quellal’ultima immagine che ormai da anni portava con sé ad ognipartenza. Suo padre col braccio alzato sotto la tettoia dellastazione. Quel piccolo uomo sempre più brizzolato e il suo sorrisosempre più lontano.Quando il vagone iniziò amuoversi il brivido della commozione lo colse al petto,inaspettatamente. Allargò la mano sul finestrino e fiatò un saluto.Riuscirono a fissarsi per circa dieci secondi, dopodiché il trenoentrò nel tunnel e lui scivolò sul sedile ad occhi chiusi. Suo padre era ancora lì.
Qualcuno aveva rotto la chiusuradella toilette e al tanto rinomato tanfo madein Trenitalia si erasommato un puzzo selvaggio di urina. Inoltre, ad ogni curva o cambiodi velocità lo sbattere di quella dannata porta impediva qualsiasitentativo di prendere sonno. Che fare? Salvo alzò lo sguardo e provòa convincersi che lo scorrere del panorama calabro non era poi cosìmale. Davanti a lui un vecchio, salitoa Lentini, sbucciava un tarocco con un coltello tipico da contadino.Il profumo dell’arancia era intenso, assai più invadente delcattivo odore che ancora filtrava da sotto la porta scorrevole. Salvofissò l’uomo con ammirazione. Sopra i baffi le rughe erano fittirovi attorcigliati agli occhi, le mani fogli sui quali leggere nonuna vita ma un’intera generazione. Si ricordò di suo nonno e diuna domenica in campagna. Si ricordò di un ulivo sotto cui si miseroad ascoltare il respiro delle foglie. Stavano seduti su un muretto asecco. Il braccio di suo nonno sulle sue spalle di undicenne e lapropria faccia costretta su quella camicia. Agrumi e sudore. Diquesto sapeva suo nonno. Di questo sapeva quel vecchio con la manotesa verso di lui.“Vuole favorire?”, gli chiesecon voce tremula.“No, la ringrazio…”“Non faccia complimenti, hovisto come mi taliàva2…Le piacciono le arance, vero?”“Sì…”“E allora pigghiasse3,forza…”“Grazie…”.Salvo allungò la mano e nestaccò uno spicchio. Il vecchio spiegò un tovagliolo di carta e lodepose sul ripiano accanto al finestrino. Gli poggiò l’arancia esi rimise il coltello in tasca.“Quando vuole può servirsi…”“No, grazie. Era solo per farmila bocca…”4e il vecchio sorrise.“Di unnèlei?” 5,chiese.“Di Siracusa…”, risposeSalvo. Il vecchio fece sì con la testa, lo sguardo rivolto alTirreno. “Una volta a Siracusa si facevaun grande moscato. Ora…”“Ora pare stia riprendendo laproduzione… Certo, rispetto a prima…”“Quella minchia di zonaindustriale… Isarausani si ficiru futtiri…”6,e s’infilò in bocca uno spicchio.Salvo sapeva a cosa si riferivail vecchio ma, come sua consuetudine, evitò d’impelagarsi in untale dibattito. La Democrazia Cristiana, l’inquinamentoatmosferico, la contaminazione delle falde acquifere, i terreniandati a male, il degrado di una litoranea tra le più belle almondo, le nascite di bambini malformati, erano tutti argomenti capacisolo di guastargli il viaggio, giacché non era con una semplicechiacchierata che avrebbero risolto l’annosa questione. Inoltre,ironia della sorte, se suo padre era riuscito a mantenere unafamiglia era proprio grazie al suo stipendio di operaio presso laMontedisondi Priolo. Così inghiottì e sorvolò.“Dove scende lei?”“Napoli. Vado a trovare miofiglio…”“Lavora lì?”“Sì, javicinc’anni ormai… Uora nascìu ma niputi e staju acchianannu…7Lei pure scende a Napoli?”“No, a Roma…”“Studia?”“Ho concluso sei anni fa…”“A Roma c’è cchiùtravagghiu, vero?”8“Rispetto a giù sì, ma nonnel mio campo…”“Na vota un figghiu dutturidava lustru, uora mancu chissu…”9Salvo soffiò un sorriso sullesue braccia conserte. Avrebbe voluto rispondere ma l’espressioneburbera di suo padre glielo impedì. Si fece serio e s’alzò.Raggiunse il corridoio, abbassò il finestrino e si sporse perprendere un po’ d’aria. Quella di Paola sarebbe stata la prossimafermata.
La ragazza era davvero unoschianto. Aveva un delicato profumo di muschio bianco e un’aria dasegretaria porca. Gli occhi vispi, sottolineati da un usointelligente dell’eye-liner,scorrevano con attenzione le frasi che dal pc portatile (adagiato sudeliziose gambe da pin-up) si riflettevano su raffinati occhiali intartaruga. Teneva un incisivo premuto sulla lucida polpa del labbroinferiore e tre dita in perenne movimento sul decolletè.“Scusi signorina, sarebbe cosìgentile da farmi un pompino?”, pensò Salvo non appena sisfiorarono con lo sguardo. Era la trentaduesima volta che provava atrasmetterle il suo profondo sentimento. Niente. L’unica reazionedegna di nota fu vederla sistemarsi la minigonna di appena uncentimetro verso il ginocchio. Era davvero adorabile con quelle suemovenze. Gli ricordava Riccarda, una tipa che frequentò qualche mesedopo la sciagura con Simona. Brevi chiacchierate pomeridiane davantiad un caffé e lunghe spossanti scopate fino all’ora di cena. Unavera regina del sesso. Simona quelle cose nemmeno a pensarle. “E allora perché parliamosempre di lei?”, gli chiese Riccarda una di quelle sere. “Se ti dà fastidio evitiamo.Ti dà fastidio?”, le domandò baciandola sul seno.“È che non riesco a capirti.Dici che con me stai bene però… Ecco, è quel però che mi faincazzare!”“Sei incazzata?”“No, Salvo, non sono incazzata.M’incazzo quando fai finta di non capire e non mi rispondi…”, esi coprì col lenzuolo.“Ma te l’ho detto centinaiadi volte! Con te è come stare al Luna Park, mi diverto un sacco,solo che… Con Simona erano altri sentimenti, capisci? Ci sono statoquattro anni. Quattro anni di…”“Ho capito benissimo, però secon lei il sesso non andava…”“Andava, andava. Non andavacome va con te ma andava…”“E ora che hai provato ilbrivido, ci torneresti a scopare con lei?”. Salvo sbuffò. Riccarda alloragli saltò addosso. Nuda, statuaria, bella, lo sguardo ferito.“T’ho fatto una domanda.”“Non lo so, forse no. Ma non èuna questione di sesso. Non tornerei con lei per tutto quello che hafatto e che ha detto. Chiamalo orgoglio, chiamala imm…”“Sappi che io non t’avreilasciato…”“Ma che stai dicendo?”“Io non t’avrei lasciato!Almeno non per un motivo così volgare.”“Ma che ne sai? Forse sarestiscappata anche prima!” e provò a sdrammatizzare facendole ilsolletico. Riccarda lo fermò. Era ancora accigliata.“Stai cominciando a piacermi.Ecco perché ti faccio sempre questi discorsi. Vorrei esserci solo ionella tua testa…”“Anche a me piacerebbe che cifossi solo tu…”.Si guardarono senza nullaaggiungere. A Riccarda l’indomani l’attendeva la consuetalevataccia per recarsi allo studio dentistico presso il quale facevatirocinio. Salvo invece aveva un colloquio con una professoressa perdiscutere di un laboratorio didattico contro la dispersionescolastica. Sulla porta il bacio fu intenso quanto il rossore negliocchi di lei.“Ci sentiamo domani a pranzo?”“Come vuoi…”.Non si videro più.
Giunti a Napoli i treni sostanopiù del dovuto e quando riprendono la corsa verso Roma procedono alcontrario. A Salvo dava particolarmentefastidio stare seduto nella posizione opposta rispetto al senso dimarcia, così approfittò del posto lasciato dal vecchio e si sistemòlì.“Buon proseguimento. E leifacissicose buone a Roma, mi raccumannu…”10,gli disse poco prima di scendere. Sul marciapiede trovò un uomo suiquarantacinque pronto ad abbracciarlo, probabilmente suo figlio.Salvo se l’era immaginato più giovane, chissà perché. Poicalcolò a occhio l’età del vecchio e i conti tornarono. Riflettésulla storia del nipotino appena nato e non poté evitarsi un mutocommento sul fatto che ormai – anno 2005 di nostra vita - sidiventa papà sempre più attorno ai quaranta. “Sarà un paese di padri chefaranno da nonni ai propri figli…”, pensò mentre li osservavaandar via a braccetto.La bellissima intanto conversavaal cellulare. La voce intonata all’aspetto.“Napoli…”, disse a uncerto punto.“…non lo so, dipende daquanto ci mettiamo a partire…”, continuò leggermenteinfastidita. Infine, dopo una serie di mugugni e risolini si decise achiudere. Nel frattempo i passeggeri saliti in carrozza superavanocon indifferenza lo scompartimento dei due, forse con la speranza ditrovare una migliore sistemazione più avanti. Del resto perchéfermarsi all’inizio se c’è un intero vagone a disposizione? Labellissima tirò la tendina e fece per chiudere la porta. Un signoresulla cinquantina sbucò in quell’istante. Sotto al giubbotto ungrappolo di orologi e collane.“No, grazie, non ci…”,rispose Salvo senza pensarci.“È robba bbuona, guaglio’.Originale!”, insisté quello. La bellissima guardò altrove elasciò a Salvo l’arduo compito.“No, davvero, non abbiamobisogno…”, e il tizio si dileguò.“Si parla sempre della furbiziadei napoletani ma questi mi sembrano proprio deficienti!”, disseall’improvviso la bellissima.“Perché, scusa, che…”“Ma chi vuoi che compri nienteda quello? Chi ci casca più?”. Adesso stavano l’uno affiancoall’altra. Oltre al muschio Salvo respirò pure della menta. “Forse qualcuno che ci casca lotrovano sempre…”, le disse solo per sentirla rispondere. “Macchè! Giusto due idiotiforse…”“Dici che c’ha scambiato perdue idioti?”“Può essere…”, e sorrise.Da porca si fece santa.“Sai quanto dura di solito quila sosta?”“A Napoli? Giusto il tempo perfar completare il giro al tizio di prima…”. Altro incantevolesorriso.“Comunque io mi chiamo Salvo…”“Piacere, Luana…”.
Pioveva a dirotto. Alla stazionedi Latina i passeggeri assisterono all’anteprima del film Buttala mamma sotto al treno!,un’esilarante commedia con protagoniste una grassa signora e la suapiccola figlia nel difficile ruolo di trolley. Poco più in alto,sopra al viavai di gente affannata, oltre gli schizzi e i ciaf-ciaf,Salvo e Luana tentavano una vicinanza. “Scusa saresti così gentile daconcedermi un bacio?”, pensò Salvo durante una pausa nella loroconversazione. Niente, nessun risultato a parte una confidenza suquello che era il suo sogno sin da ragazzina.“Sto cercando di aprirmi unacarriera come assistente di volo…”“Tu hostess? E che ci fai su untreno?”“Indovina?”“Ci sono agitazioni?”“Esatto!”, e risero.“Ho appena concluso i sei mesidi tirocinio a bordo. Tra giorni ho l’esame a Roma per l’attestatodi Primo Soccorso ed Emergenza.”“In bocca al lupo allora!”“Crepi. Poi si spera nel solitocontratto stagionale e poi…”“E poi?”“E poi spero che la compagnianon fallisca e mi richiami prima possibile. In teoria dovrebberopassare altri due o tre mesi. In pratica anche un anno intero. Nelfrattempo posso solo spedire altri curricula e sperare che mi chiamiqualcun altro…”“È il motto di noi tutti!”“Quale?”“Sperare!”.Il treno riprese a camminare.Della mamma e della sua bambina-trolley nessuna traccia. Salvocontrollò l’orario sul display del proprio cellulare: circa unquarto d’ora di ritardo.“E tu invece? Ti sei laureatohai detto…”“Sì, in lettere. Adesso lavoroin un call-center…”.Luana spiccicò le labbra eabortì un commento. Le si era raggelata in viso una stranaespressione d’imbarazzo.“So a cosa stai pensando”, ledisse Salvo guardandola negli occhi, “…sono d’accordo con te!”,quindi reclinò il capo e si perse nel ciondolare della manigliadella propria valigia.“Che ci faccio a Roma? Perchésto andando a Roma?”, si chiese. Il silenzio di suo padre tornò afarsi vivo. Era seduto al tavolo della cucina e incideva con uncoltello le circa trenta castagne da arrostire nella suapersonalissima padella forata.“A che ora è il trenodomani?”, gli aveva chiesto senza guardarlo.“Presto. Alle sette dobbiamoessere alla stazione. Se per te è un problema mi faccio accompagnareda qualcuno…”“No, non c’è problema…”“Magari c’è freddo e…”“Tu non ti preoccupare,m’abbottono…”, e mise le castagne sul fuoco.“Tutto a posto?”“Sì…”, rispose suo padre.“Non è vero. Mi devi direqualcosa?”.L’anziano accese la fiamma ecoprì la padella con un coperchio. Un buon odore di bruciatoraggiunse Salvo ancora in piedi ad attendere. Suo padre diede unascossa alle castagne e lo fissò.“Quanto deve durare ‘stacamurrìa?”11“Dura quanto dura…”“Ah sì? Ma chista’ fannu?”12“Senti, me ne vado di là.M’annoia parlarne…”“Ah, t’annoia? Invece uorat’assetti e parramu!”.13Salvo scansò la sedia es’accomodò.“Che vuoi sapere? Se mi piacequello che faccio? No, non mi piace. Però questo ho trovato! Anche ame piacerebbe avere un lavoro adeguato ai miei studi ma… Papà,insomma, ti guardi intorno? Li leggi i giornali? O forse ti bastanole minchiate che senti in televisione?”“Ma allora, se come dici tu nontrovi niente che ti serve, perché non te ne torni? Che motivo c’èdi pagare l’affitto a un cornuto se qui hai una casa tua? Spiegamiquesto!”“Intanto l’affitto finalmenteriesco a pagarmelo…”“Salvo? Quando parli talìami‘nta facci…14Tu quel lavoro puoi farlo anche qui e lo sai. Fino a quando mi diceviche era una cosa provvisoria, che ti serviva solo a guadagnarequalcosa mentre cercavi dell’altro, mi stava bene. Ma ora passàrudu’ anni!15Non t’ho pagato l’università per rispondere ad un telefono!”,urlò nel fumo della cucina.Le castagne erano pronte.“Che devo fare allora?Tornarmene a Siracusa per starmene tutto il tempo a casa?”“Ma qui non stavi provando alavorare con le scuole? Perché hai abbandonato?”“Perché facevo i progetti, lipresentavo e me li bocciavano con la scusa che non c’erano fondi.Però intanto i soliti noti facevano laboratori a tinchité!16Quando m’accettavano i laboratori mi pagavano dopo un anno… Eravita quella?”“E questa? Questa vita me lachiami? Quando studiavi almeno facevi sacrifici per un pezzo dicarta, ora mi pare che ti sacrifichi a tempo perso!”“Però forse, dico forse, aRoma posso sperare in qualcosa…”“Hai 35 anni, Salvo! Ancorasperi? Io non sono eterno…”“Che c’entra questo adesso?”“Niente. Non c’entraniente…”, poi tossì e ci mise su un po’ di vino. “Ne vuoi una?”, riprese.“No. Non lo sai che le castagnemi fanno schifo? Saranno dieci anni che cerchi di farmele mangiare…”“Le mangiavo assieme a tuamadre. Volevo solo un po’ di compagnia. Non ti preoccupare, se nonti piacciono non casca il mondo…”, quindi abbassò gli occhi sulpiatto e riprese a sbucciare.
Roma Termini era vicina. Dalfinestrino l’enorme cavalcavia sulla Prenestina sfoggiava tutta lasua arrogante bruttezza. Salvo come al solito buttò un’occhiata alnegozio di toupet all’inizio della via. Era una sua fissazionequella di prepararsi subito dopo averlo superato. Lo trovavapacchiano e ridicolo ma era diventato il suo anomalo e insensatopunto di riferimento da circa due anni. Indossò il giubbotto, presela valigia e aspettò che Luana si sbrigasse con la sua agenda. Leise n’accorse e gli sorrise con un foglietto in mano.“È la mia e-mail. Se ti fapiacere…”“Certo, come no! Aspetta che tido la mia…”.Una volta arrivati a destinazionesi lasciarono davanti alla metro. Lei avrebbe preso un taxi.“Allora ci sentiamo. Scrivimi…”“D’accordo. Appena possosenz’altro. Ciao…”“Ciao. A presto…”, e sfilòvia con un’andatura proprio da hostess. Salvo resisté tre secondi,poi si voltò e si beò di tanto splendore. “Fortunato chi ci riesce…”,si disse prima di incamminarsi verso le scale mobili della metro.“Salvo!” Ancora Luana. Ancora quelsorriso. “Sì?”“In bocca al lupo per tutto!”gridò in mezzo al caos.“Grazie… Anche a te!”“Si dice crepi…”“Hai ragione! Crepi… Cisentiamo. Ciao…” e avrebbe voluto abbracciarla, baciarla esposarla.
Ci pensò per tutte le tredicifermate che compongono la via crucis Termini-Subaugusta.Chiuse gli occhi e immaginò la bellezza di centotrentasette inviti acena formato e-mail. Immaginò persino che, non vivendo ancora aRoma, lei avrebbe avuto prima o poi bisogno di un appoggio. Immaginòallora che avesse un’anima tanto gentile da digerire pure il suosquallido appartamento in affitto sito in via delle Rose aCentocelle. Immaginò questo e ben altro ancora. Poi, giunto a PiazzaCinecittà, il fetore nell’autobus 451 mise tutto in discussione.
Il biglietto sul tavolo loinformò che Francesco, suo coinquilino, avrebbe trascorso lasettimana in paese per via del compleanno della madre. Unpresentimento scorticò i suoi pensieri. Aprì il frigorifero e nesubì la sentenza: occorreva fare la spesa. Guardò l’orario:troppo tardi. In dispensa solo pasta e una busta di carta marrone.Castagne. “Pronto?”“Ciao, papà, sono io…”“Arrivastifinalmente. Com’è andato il viaggio?”“Bene, solo un po’ diritardo… Com’è? Stai cenando tu?”“Mi stavo facendo la carne conun po’ d’insalata. Tu che ti fai?”“Ora vediamo… Qualcosam’invento. Noi, che fa, ci sentiamo dopodomani?”“Va bene. E senti…”“Cosa?”“No, niente. Per quella…”“Sì, papà, tranquillo. Non èsuccesso niente…”“Va bene. Allora ti chiamo iodopodomani…”“Sì…”, poi Salvo fece unlungo respiro.“Tutto a posto? Mi devi direqualcosa?”“Papà, senti io… Dammi tempofino all’estate.”“Va bene, non ti preoccupare.Vai a mangiare e riposati…”“No, parlo sul serio.Aspettiamo l’estate e poi…”“E poi ci pensiamo, va bene?”“Va bene. T’abbraccio…”“Ciao, Salvo, buonanotte…”.Tornò in cucina e accese la tv.Il presidente del consiglio parlava ancora a viso scoperto, PapaRatzinger ghignava a braccia levate e Fabio Fazio balbettava cosesimpatiche da conduttore simpatico. Una soubrette dal culo fantasticoiniziò a ruttare frasi sull’importanza della pace nel mondo, sulmatrimonio e sul ruolo della famiglia. A Salvo venne in mente Simona.Si domandò se ancora frequentasse quel belloccio del Rotary.“Magari adesso è incinta dilui…”, pensò aprendo l’agendina che s’era portatodall’ingresso. Appuntò l’e-mail di Luana, quindi si voltò espense il fornello. Le castagne erano pronte.
1 Espressione siciliana (Siracusa) per indicare, scherzosamente, una persona testarda.2 “[…] ho visto come mi guardava…” Taliàre in siciliano vuol dire guardare.3 Prendesse. In italiano la frase suonerebbe così: “E allora ne prenda un po’, forza…”4 Espressione tipica siciliana (Siracusa), qui italianizzata. La si usa solitamente quando si assaggia qualcosa per togliersi un cattivo sapore.5 “Di dov’è lei?”6 “I siracusani si sono fatti fottere…”7 “Sì, sono passati ormai cinque anni. Adesso che è nato mio nipote sto salendo…”8 “A Roma c’è più lavoro, vero?”9 “Una volta un figlio laureato era motivo di orgoglio, adesso neanche questo…”10 “[…] faccia buone cose a Roma, mi raccomando…”11 “Quanto deve durare questa seccatura?”. 12 “Ma cosa stai concludendo di buono?”. L’espressione viene qui usata con questa intenzione.13 “[…] ora ti siedi e discutiamo!”14 “[…] guardami in faccia…”15 “[…] sono passati due anni!”16 L’espressione siciliana a tinchité è traducibile con l’italiana a iosa.
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