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I fischi non sono una manifestazione di pensiero political correct. Su questo non si può che concordare. L’abusatissimo “non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita perché tu lo possa dire”, aforisma attribuito per comodità a Voltaire e pietra miliare della filosofia liberale, non ha avuto applicazione in occasione delle celebrazioni per la festa della Liberazione. A leggere i resoconti di quanto accaduto a Milano e a Roma il 25 aprile, l’intolleranza (minoritaria) di alcuni partecipanti ha vanificato l’invito alla concordia e all’unità auspicate dal presidente della Repubblica.
Sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista, condannando le contestazioni che puntualmente si ripetono da diversi anni a questa parte, ha parlato di “snaturamento di una data che dovrebbe essere celebrata con lo stesso spirito concorde che ha animato il centocinquantesimo compleanno della nazione italiana”. Un paragone approssimativo, a mio modo di vedere. Non so a quali manifestazioni si riferisse Battista, ma chiunque abbia seguito quella vicenda è in grado di verificare come, purtroppo, le cose siano andate diversamente. Dalle polemiche interne alla stessa maggioranza governativa sulla chiusura di scuole e uffici pubblici, alle dichiarazioni leghiste sull’opportunità stessa di festeggiare, tutto si è visto, tranne che unità di intenti. Tra secessionisti dell’ultima ora, borbonici di ritorno, meridionalisti più o meno di comodo fautori di una copiosa letteratura antiunitaria, le celebrazioni hanno innescato dispute ai limiti della decenza. Abbiamo potuto leggere anche sui quotidiani locali notizie riguardanti storici che, in qualche convegno, hanno preferito abbandonare il tavolo dei relatori per non dovere ascoltare talune filippiche dalla controversa attendibilità scientifica.
Al di là di queste considerazioni, le parole di Battista richiedono però un’ulteriore riflessione. Non si può nascondere che di politicamente corretto, in Italia, sia rimasto ben poco. L’urlo sembra essere assurto ad unità di misura del pensiero, tanto che il “cosa” è stato soppiantato dal “come” viene detto. L’innalzamento esponenziale dei decibel nelle discussioni esprime l’incapacità di parlarsi da parte delle tifoserie che da 17 anni occupano gli spazi della politica. I fischi potrebbero pertanto rappresentare un modo, certo discutibile, per difendere quei valori definiti da Giorgio Napolitano “punti di contatto” tra Risorgimento e Resistenza (libertà, indipendenza e unità), che agli occhi di una fetta di opinione pubblica appaiono quotidianamente minacciati. Perché si fa fatica a considerare una coincidenza fortuita il contemporaneo attacco ai due eventi cruciali della storia italiana contemporanea. La demolizione culturale delle ragioni che a lungo hanno tenuto unito il Paese passa anche dai manifesti di chi paragona i giudici alle brigate rosse, dalle iniziative parlamentari volte a riscrivere l’articolo 1 della nostra Carta fondamentale per assoggettare alle maggioranze parlamentari tutti gli altri organi costituzionali, dal disinteresse per i risvolti che può avere sulla tenuta democratica dello Stato l’operazione di salvataggio del premier dalle sue grane giudiziarie. Probabilmente, è contro tutto questo insieme di cose che i contestatori, forse in maniera scomposta, hanno voluto fare sentire la propria voce.
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