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F.Kafka, “Un messaggio dell’imperatore” + commento

Da Stroszek85 @stroszek85

F.Kafka, “Un messaggio dell’imperatore” + commentoL’imperatore – così si dice – ha inviato a te proprio a te individuo singolo, miserrimo tra i sudditi, a te che davanti al sole imperiale sei fuggito come futile ombra nella più remota lontananza, un messaggio dal suo letto di morte. Accanto al letto ha fatto inginocchiare un messo e gli ha bisbigliato all’orecchio il messaggio, e ci teneva tanto, che se l’è fatto ripetere a sua volta all’orecchio; poi, con un cenno del capo, ne ha confermato l’esattezza. E al cospetto di tutto il pubblico presente alla sua morte – i muri che fanno ostacolo sono demoliti, e sulle gradinate che si elevano alte e maestose fanno circolo i dignitari dell’impero – davanti a tutti costoro ha licenziato il messo. Questi si è posto subito in viaggio: uomo gagliardo, instancabile, muovendo ora questo ora quel braccio, si fa strada tra la folla; se incontra resistenza, addita sul suo petto il segno del sole; l’avanzare gli è facile come a nessun altro. Ma la folla è smisurata, le sue dimore non hanno fine. Se egli trovasse campo libero, come volerebbe! e ben presto udresti alla tua porta, imperioso, il rimbombo dei suoi pugni. Invece si affatica invano; sta ancora aprendosi il cammino attraverso le stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle, e se anche ci riuscisse, sarebbe al punto di prima: dovrebbe battersi da leone per discendere le scale; e se anche questo gli riuscisse, sarebbe ancora nulla: gli rimarrebbe da attraversare i cortili; e dopo i cortili la cerchia del secondo palazzo, e di nuovo scale e cortili; e poi un altro palazzo; e così via per millenni; e quando finalmente sbucasse dall’ultimissima porta – ma ciò non accadrà mai e poi mai -, si troverà dinanzi la città imperiale, il centro del mondo, colma fino all’orlo di tutta la sua feccia: nessuno può venirne a capo, anche se sia latore del messaggio di un morto. Ma tu siedi alla finestra e immagini che giunga a te, quando scende la sera.


Il commento

Credo la letteratura di sempre non abbia mai prodotto niente di più azzeccato, alla pari di questo, nella descrizione dell’impossibilità, da parte di un qualsiasi soggetto, di comunicare esattamente il proprio pensiero. La lettura di Kafka si presta sempre alle più molteplici visioni, indi per cui la tematica comunicativa è una chiave come un’altra con la quale cerco di “personalizzare” questo bellissimo racconto.

Il messo che si perde nel palazzo (la cosa mi fa pensare anche a “L’anno scorso a Marienbad” di Resnais) e che non riuscirà mai a venirne fuori è una crudele e veritiera immagine dell’inefficacia del verbo nell’esatta riproduzione del pensiero. Il punto è che; (1) io penso, (2) io dico, (3) tu ascolti, (4) tu rielabori il concetto, quindi pensi. In questa catena il pensiero originario subisce tre trasformazioni, ed è logico immaginare come tali trasformazioni si ripercuotano sul risultato che viene riprodotto nella mente del mio interlocutore.

Egli potrà avere solo l’illusione di aver colto appieno il messaggio…

Ora, immaginate un botta e risposta e elevate al quadrato il numero delle trasformazioni per ogni passaggio… Vi chiedo: quante possibilità ci sono che i due oratori non si prendano a calci e pugni entro circa tre o quattro battute?


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