Ancora una volta (vedi caso Anekdoten) è un gruppo non britannico a colpire la mia attenzione, in modo positivo, nel panorama neo-prog. Stavolta si tratta di una band svizzera (!), i Flame Dream. L’album in questione è Calatea, il primo dei cinque dischi pubblicati dai Flame Dream. Gruppo che fa del prog sinfonico la sua peculiarità, ma che non disdegna escursioni in sonorità più propriamente europee, per certi versi jazz-rock, comunque non stereotipate.
STORIA. Non è facile ricostruire la storia di questa band, probabilmente un testo che potrebbe aiutare è Außer Rand und Band. Die Luzerner Szene 1950–1980. di Heinz Horat (Velvet, Luzern 2006), ma è scritto in tedesco e lascio a chi lo sa leggere l’arduo compito. Però ci aiuta a capire che attorno alla scena di Lucerna nel trentennio ’50/’80 deve esserci stato molto fermento. Del resto a pochi passi dalla Svizzera, nella vicina Germania, negli anni ’70 infuriava il Krautrock e qualcuno ha anche voluto accostare i Flame Dream a questo tipo di musica. Ma secondo me c’entra davvero nulla. Quel che è certo, è che nel 1978, data di genesi di Calatea, i membri erano cinque, perché nella band andava annoverato anche il chitarrista Urs Waldispühl, assente già dal successivo Elements.
IMPORTANZA. Secondo ProgReviews, in pochissimi album degli anni ’70 vi è un tale cambiamento improvviso di stili e generi come nel caso del disco in questione. La traccia che più colpisce in questo senso è Volcano. Passaggi schizofrenici che partono da un intro di piano quasi classico per convergere a sonorità più propriamente legate alla scena di Canterbury. Anche se l’ispirazione a Genesis, Yes, Gentle Giant, e per qualcuno anche Van Der Graaf Generator (ma solo per l’introduzione del sassofono…), cede il passo a un’ispirazione di stampo quasi rinascimentale. Questa in definitiva fu la risposta che la Svizzera diede alla nuova tendenza relativa all’ondata pop di allora. Il “jazz-rock” sinfonico dei Flame Dream è più che altro «ribellione». I paralleli con altri gruppi di nicchia si sprecarono e solo per fare un esempio, appena uscito Calatea, gli addetti ai lavori pensarono bene di associarli ai francesi Carpe Diem. Soltanto dopo un attento ascolto in molti si pentirono di questo paragone, ripiegando su un più sicuro accostamento ai Genesis, che si evince soprattutto nella finale Apocalypse of Sounds.
SENSAZIONI. Sogno infuso in un delicato mix di baldoria sinfonica intriso di estetica jazz-rock e caratterizzato da inserti di fiati. In queste parole si può riassumere Calatea. In un disco solo si alternano sassofono, clarinetto e flauto, per poi cedere il passo ai cori e al mellotron, che tampona il jazz in prog. A farla da padrone è sicuramente la tastiera, la sezione più accostabile a Tony Banks. Diciamo che è la parte cantata, invece, quella in cui meno riescono ad adattarsi i Flame Dreams. I canti di Peter Wolf e i controcanti di Urs Hochuli, sono solo degli scampoli estetici, meno riusciti ma che comunque non guastano. Un po’ forzati ma che servono a collegare le parti strumentali.
CURIOSITA’. Un massiccio boccaporto che aperto lascia intravedere, tra tubature che si inerpicano lungo un soffitto di cemento armato, un angolo di cielo interrotto da una enigmatica striscia scura. Se questa è, come penso, un’ala, la copertina di Calatea altro non è che un portellone di un aeromobile in volo. Tutto è avvolto nel mistero ottico, sapientemente raffigurato da Roger Dean. Chi è Roger Dean? Uno dei più grandi maestri di raffigurazioni di copertine della storia del prog-rock. Ha firmato storiche cover per album che sono passati alla storia come pietre miliari del progressive, da Octopus dei Gentle Giants a Demons & Wizards degli Uriah Heep e Fragile e Close to the Edge degli Yes. E anche Calatea, of course…