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Da Paride

E quando credevo di aver visto tutto e che la mia vita, sul tramontare di 50 faticosi anni, si fosse risolta in un sospiro; il male suonò alla mia porta, e mi chiese di adottarlo.
Non avevo mai visto degli occhi così grandi. Immaginai di guardare con i suoi occhi e il cielo mi sembrò più largo.
Non mi sono mai chiesto con cosa si faccia la mayonnaise o da dove vengano le cipolle; e nè lì mi chiesi niente. Ma sapevo già la risposta, e questo mi dava una certa amarezza, essendo stato così accorto, in tutta la mia esistenza, a evitare le domande.
Così lo lasciai entrare, che facesse ciò che voleva. Andai nello studio, presi tutti i soldi dalla cassaforte e la riempii di libri. Libri vecchi con la copertina scura e rovinata, rilegati in quella pesantezza caratteristica della cultura presuntuosa. Chiusi la cassaforte, mi feci coraggio e ingoiai la chiave. La sentii graffiare fino a perdere sensibilità. Poi sparì dentro di me. Buttai tutti i documeni che erano sulla scrivania e nell’archivio dentro il tritacarte. Poi tornai nella sala e gli dissi: “Eccomi, possiamo andare.”. Lui era acquattato vicino all’acquario e guardava i pesci con sguardo felino. “Ci penserà la domestica, ha le chiavi. Lascerò un biglietto. “. Stavo in piedi in un’attesa vuota e silenziosa, in tutta la mia immobile stazza imponente. A lui sembrava non importare molto della faccenda, e neanche a me. Indugiò un pò, come se volesse prendere qualcosa; poi scosse la testa, recuperò la sua grossa macchina fotografica dal divano e disse: “Sì, possiamo andare.”. Fece dei lunghissimi passi silenziosi verso il portone e concluse: “Sì, andremo da Carmen.”.
Lo seguii.
Dopo venti minuti di passi muti in strade di pietra, raggiungemmo una porta rossa di legno vecchio e intaccato. Accanto, di spalle a un vicolo in cui scendeva il sole, una donna stagliava la sua figura in controluce, con le mani dietro la schiena, e la lunga gonna al vento.

Carmen mi invitò nella sua miseria.
Nella casa non c’era quasi nulla, oltre a poche carcasse di mobili antichi e un odore pesante di umido, chiuso e pane raffermo. Lui mi guardò e io, d’istinto, mi misi a sedere. Carmen occupò l’altra sedia, di fronte, dietro il tavolo sbilenco. Lui continuava a fissarci. Sentivo quasi il suo respiro leggero addosso. Respirava?
Carmen poggiò una mano sul tavolo. Amo le mani delle donne, dove un velo di pelle raggrinzita a sa rendere eleganti tendini e ossa.
Lui fece un passo verso di noi. Io sentii il sangue gelare, come se l’aria intorno a lui fosse fredda. In quell’istante Carmen alzò lo sguardo. Aveva le iridi viola. Le sue pupille si fermarono nelle mie e, prima che tutte le domande del mio castigo potessero piovermi addosso, il tempo si fermò, le sue pupille si piantarono nelle mie; e io La vidi.


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