Fli fuori dal governo. Ciao amore...ciao!
Creato il 16 novembre 2010 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
E chi prova a dire che citiamo Tenco è un berluschino. Il nostro titolo parte da una semplice considerazione e cioè che il Pdl è il partito dell’amore. Maggioranza nel governo, il Pdl forma quindi il governo dell’amore. Come si fa ad abbandonare un governo dell’amore con odio? Impossibile. Quindi Adolfo Urso, Andrea Ronchi, Antonio Buonfiglio, Roberto Menia e Giuseppe Maria Reina (Mpa), hanno infatti scritto l’ultima lettera d’amore a Silvio terminandola “con immutata stima”, mica con “sempiterno amore”. Da buoni “svedesi”, nonostante le chiare origini meridionali, non hanno preso Silvio a male parole ma lo hanno lasciato confermandogli tutta la loro stima, affetto ed amicizia (quando lo si fa in amore è una grande presa per il culo). Come spesso accade quando un rapporto finisce, l’abbandonato si ritrova a dover scegliere fra un ventaglio di atteggiamenti possibili, nei confronti del partner fuggitivo, che vanno dall’insulto all’aggressione, dal pianto alla minaccia di suicidio, dal senso di liberazione alle “spallucce” dell’indifferenza. Berlusconi, da vero gentleman ha sofferto tantissimo, pianto lacrime amare e calde, preso a calci Bondi, strattonato Capezzone ancora dolorante per il pugno rimediato da un altro magmatico aggressore, tirato le orecchie a Bonaiuti ma...in silenzio. Lui ha scelto il silenzio. In compenso hanno parlato i suoi amici più fidati, stanchi di vederlo soffrire come una bestia. E non sono state parole tenere nei confronti dei fedifraghi. Maurizio Sacconi, quello che sta riducendo in polvere lo Statuto dei lavoratori e che accusa gli operai di procurarsi gli incidenti per andare in tivvù, è stato fra i più duri: “Con il ritiro della delegazione dal governo si sta consumando il tradimento”, ha detto il marito dell’ex direttrice generale di Federfarma (quella dei vaccini inutili), al quale ha risposto Italo Bocchino con un lapidario: “Il ministro Sacconi non è il più indicato ad esprimere giudizi”. Fabrizio Cicchitto, scambiando la cazzuola per il microfono, è stato invece inaspettatamente moderato: “È un grave errore politico”, ha detto aggiustandosi il grembiulino. Ma chi è andato come sempre non sopra le righe ma di più, è stato il Pasdaran² Giorgio Clelio Stracquadanio, quello che ha detto che la fortuna della Carfagna “l’ha fatta Bocchino” e che “il Pdl è la protesi di Berlusconi”. Il Giorgio favorevole all’uso del corpo per entrare in politica, ha praticamente accusato molti suoi colleghi di partito di “freddezza” nei confronti del Silvio abbandonato. E lo ha fatto adoperando parole talmente dure che il suo Sire si è sentito in dovere di intervenire pubblicamente per smentire disaffezioni e pseudo complotti da parte di Angelino Alfano, Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo. Berlusconi è un amante ferito. Da signore e padrone della famiglia del Pdl, l’abbandono da parte dei “futuristi” l’ha preso come un sgarro e se la prima reazione è stata quella di bastonarli violentemente (come di solito fanno gli uomini con le donne che minacciano di abbandonarli), ha pensato di risolvere la questione politicamente e da macho: “O mi danno la fiducia o si torna a votare e rivinco”. Bossi ne ha preso atto e ha visto volare lassù in alto, fino a perdersi fra le nuvole, il suo amatissimo federalismo fiscale. Nella notte però c’è da segnalare un altro fatto increscioso capitato dalle parti di Viale Mazzini. Erano da poco passate le 24 quando l’Auditel ha trasmesso i dati relativi alla serata televisiva di ieri. Dopo aver letto che il Tg1 era stato seguito da tremilanovantanove assuefatti, l’occhio guantato del direttore generale è finito sulla casella di Vieni via con me: 9 milioni di telespettatori (30 per cento di share, quasi 20 milioni di contatti), che manco Sanremo o una partita di calcio della Nazionale. A quel punto si è visto ondeggiare pericolosamente il cavallo della Rai e sentito distintamente il rimbombo del vuoto. Gli uomini della sicurezza accorsi sul posto, si sono resi conto che a suonare vuoto non era il Cavallo ma la testa di Masi. Immediatamente avvertito, il sindaco di Roma Alemanno ha deciso per un Tso d’urgenza.
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