Lo zoologo Richard Dawkins è ormai diventato lo zimbello dei media per le sue continue gaffe (l’ultima quella sulla pedofilia), Sam Harris è scomparso dalla circolazione mediatica assieme al chimico Peter Atkins, il compianto Christopher Hictens è passato a miglior vita e Piergiorgio Odifreddi, sempre meno lucido con il passare degli anni, si commuove come un bambino se un Papa gli risponde. Questa più o meno la situazione del cosiddetto “new atheism”, molto in voga fino a qualche anno fa.
Nella feroce guerra contro i credenti è rimasto a combattere solo il buon Paolo Flores D’Arcais, il cosiddetto “filosofo intollerante” per una curiosa vicenda di cui si è reso stato protagonista e che abbiamo documentato nel nostro canale Youtube. E’ di questi giorni l’uscita del suo ennesimo libro contro chi crede in Dio, intitolato: “La democrazia ha bisogno di Dio? Falso!” (Laterza 2013).
Il primo sostenitore politico di Di Pietro e poi di Antonio Ingroia (un bel portafortuna per entrambi, davvero!) ha puntato all’impossibile mirando a confutare la posizione del celebre filosofo tedesco Jürgen Habermas (e ancora prima quella di Tocqueville e Heidegger, per cui “solo un Dio ci può salvare”), secondo il quale la democrazia ha bisogno di un presupposto religioso. Dopo aver liquidato velocemente il pensiero di Heiddeger con un’accusa a livello personale «era un nazista (mai pentito)» (pag. 3) (quando oggi è evidente agli storici essere una falsità), spiega: «L’alleanza che oggi invoca la presenza di Dio nell’agorà democratica è inquietante per la sua eterogeneità» (pag. 3). Flores D’arcais non sostiene la laicità ma approva pubblicamente il laicismo, ovvero l’estirpamento di ogni aspetto religioso dalla vita pubblica. «Ahimè», si lamenta in un’intervista al “Fatto Quotidiano”, «non possiamo che notare come le religioni abbiano un ruolo pubblico sempre crescente». Per questo la sua tesi centrale è che «va negato radicalmente e in modo sistematico ogni ruolo pubblico delle religioni nella democrazia, perché qualsiasi ruolo pubblico minaccia e mette a repentaglio elementi essenziali del sistema democratico».
Queste minacce sarebbero sopratutto in campo bioetico, ha spiegato, ad esempio per quanto concerne l’opposizione all’eutanasia che sarebbe frutto di «un sistema di valori religioso vuole imporre la sua particolare morale come morale dello Stato». Peccato che siano le principali associazioni medico-scientifiche americane ed europee ad opporsi a tale pratica, come abbiamo documentato, ben lontane dall’offrire motivazioni religiose alla loro posizione. Inoltre, perché l’approvazione dell’eutanasia non sarebbe invece un imposizione di un’etica atea, cioè priva del concetto di sacralità della vita? Perché la religione non deve partecipare alla democrazia ma l’ateismo si? Esso è davvero neutralità? La storia della Francia è paradigmatica: in nome del laicismo ieri eliminava fisicamente i credenti dalla vita pubblica mentre oggi ha intrapreso nuovamente la crociata contro il cristianesimo abolendo le feste cristiane per celebrare la ricorrenza ebraica dello Yom Kippur e quella musulmana dell’Aïd, trovando però l’opposizione di ebrei e musulmani. Questo è il progresso laico?
Flores d’Arcais risponde positivamente: solo gli atei possono partecipare alla vita pubblica perché «la democrazia è atea, imprescindibilmente», ha spiegato il direttore di “Micromega”. Il credente, se vuole esistere in una democrazia, deve abbandonare ogni pretesa di dedurre norme direttamente o indirettamente dalla propria fede e Dio può sopravvivere alla democrazia solo accettando l’«esilio dorato nella sfera privata della coscienza». Si passa quindi agli insulti verso chi crede in Dio, immancabili in un pamphlet di proselitismo: «il credente è civicamente minus habens perché incapace di interiorizzare autonomamente la scelta pro-democrazia e in grado di riconoscerla solo affidandosi all’autorità religiosa di riferimento».
Come lui probabilmente la pensa la nuova maestra della scuola elementare “Bombicci” di Bologna, che appena entrata in classe ha tolto il crocifisso dal muro perché, ha detto, «non me ne faccio nulla» (interessante l’intervento dell’ex presidente della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli). Certamente come lui non la pensa, invece, il non credente Giulio Giorello che ha deciso pubblicamente di schierarsi a fianco dei cristiani in difesa della Chiesa perseguitata in Pakistan. Il lettore saprà giudicare chi incarna di più lo spirito democratico e civile tra i due.
Velata la critica al libro de “Il Corriere della Sera, più dura quella apparsa sull’“Unità”, l’ex quotidiano ufficiale del PCI di cui il filosofo intollerante è un forte nostalgico: «Flores d’Arcais vuole addirittura negare il certificato elettorale a Dio e ai suoi fedeli [...] Francamente ci pare una posizione artificiosa, oltre che insolente e intollerante. Perché la democrazia è il contrario di certe intimazioni totalitarie e discriminatorie. Essa è conflitto regolato su valori e interessi divergenti». Raccogliamo la sfida di Papa Francesco, scrive l’editorialista dell’“Unità”, Bruno Gravagnuolo, «il resto è vecchia ideologia giacobina. Caricatura rovesciata del confessionalismo e Devozione Atea».
Proprio il Pontefice argentino nella “Lumen Fidei” ha scritto: «Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno. Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, perderemo la fiducia tra noi e saremo uniti solo dalla paura e la stabilità sarebbe minacciata». Lo dimostra la storia: la fede e la cultura cristiana sono alla base delle nostre civiltà democratiche, come ha spiegato il celebre sociologo americano Rodney Stark: «il cristianesimo ha svolto un ruolo chiave nel fornire una base morale per la democrazia, ben oltre qualsiasi cosa immaginata dai filosofi classici» (“La vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza”, Lindau 2006, pag. 124). Nessun ateismo -nessun culto del nulla e del non-dio-, invece, è mai stato in grado fondare eticamente e moralmente alcuna civiltà democratica. Anche questo è un dato su cui vale la pena riflettere per chi vuole decidere chi e come si deve partecipare alla vita democratica.
La redazione