Eccomi, finalmente, a recensire il secondo romanzo di Auster approdato sul mio comodino. Dopo la bellissima impressione avuta da Trilogia di New York, Follie di Brooklyn ha addirittura surclassato la precedente lettura, guadagnandosi un posto nel mio olimpo ideale dei libri. Un doppio motivo, quindi, per ringraziare Marco, che mi ha fatto vincere il libro con il contest organizzato per il compleanno del suo blog, Argonauta Xeno.
Follie di Brooklyn, scritto nel 2005, è una 'storia a conduzione familiare' in cui si mescolano il gusto per il thriller, reminescenze letterarie e metaletterarie e, soprattutto, l'abilità dell'autore nel descrivere le condizioni dei suoi personaggi inghiottiti dalla metropoli, spaesati, instabili nei loro legami affettivi. Se, tuttavia, il primo aspetto è molto meno evidente di quanto non fosse nella Trilogia, il secondo rimane costante, mentre il terzo, in qualche modo, risulta stemprato e quasi superato grazie ai sinceri rapporti che si creano fra i protagonisti, alla loro comune tensione verso l''Hotel esistenza' e al richiamo al valore eternante della letteratura.
Nathan Glass è un pensionato appena guarito da un cancro ai polmoni che, separatosi dalla moglie e in grosse difficoltà nel mantenere dei rapporti pacifici con la figlia Rachel, torna nel suo quartiere d'infanzia, Brooklyn, alla ricerca di "un posto tranquillo per morire". Inaspettatamente, si imbatte nel figlio della sua defunta sorella, Tom, che lavora per un commerciante di libri che si fa chiamare Harry Brightman, ma che nasconde un passato di illegalità. Nathan riscopre il profondo legame con Tom, si affeziona a Harry e a tutti i personaggi che animano le sue giornate: l'affascinante Nancy, detta B.P.M. (Bellissima e Perfetta Madre), sua madre Joyce, l'avvenente Marina Sanchez e Rufus, il compagno di Harry. L'improvviso arrivo in città di Lucy, la figlia di Aurora, sorella di Tom, e l'impossibilità di rintracciarne la madre creano notevole scompiglio, finché Nathan, ristorato da questa ventata di affetti familiari e non, si scopre il cavaliere protettore di ciascuno di loro, spingendo Tom all'amore, lanciandosi nel salvataggio della nipote, tentando di tornare ad essere un buon padre e lottando per l'attività in pericolo di Harry. Solo all'avvenimento destinato a consumarsi la mattina in cu il racconto si conclude è sottratto all'azione eroica di Nathan.
Il titolo del romanzo deriva dall'intenzione di Nathan di raccogliere nel Libro della follia umana tutti gli avvenimenti e i comportamenti assurdi o divertenti che riaffiorano a poco a poco nella sua memoria o che vive nel corso della sua nuova esistenza brooklyniana. La scrittura è compagna costante del protagonista, i libri il suo passatempo preferito, nonché la passione e il lavoro di Tom e, anche se in modo non del tutto onesto, di Harry. E la scrittura sarà anche quell'atto di omaggio alle persone care che suggerirà a Nathan un modo sincero e affettuoso di legare la sua passione per la letteratura alla possibilità di rendere protagonisti di essa anche tutti coloro che vivono esistenze comuni, ma non per questo prive di importanza.
"Forse non era un'idea geniale, ma era qualcosa, e se l'avessi perseguita con fede e rigore come intendevo fare avrei avuto il mo progetto, il passatempo che cercavo per evadere dall'accidia della mia soporifera routine. E malgrado la modestia del progetto decisi di dargli un nome solenne, anzi alquanto pomposo - per illudermi mi aver intrapreso un'opera importante. Lo intitolai Il libro della follia umana e pensavo di riportare in esso, con il linguaggio più semplice e chiaro possibile, il racconto di tutti gli svarioni e i capitomboli, i pasticci e i pastrocchi, le topiche e le goffaggini in cui ero caduto nella mia lunga e movimentata carriera di uomo. Quando non mi fosse venuto in mente nulla su di me avrei raccontato cose capitate alle persone che conoscevo; e se anche quella fonte si fosse inaridita avrei saccheggiato la Storia, descrivendo le follie dei miei simili nei secoli, dalle civiltà scomparse dell'antichità fino ai primi mesi del Duemila. [...] Ho definito il progetto un libro, ma in realtà non lo era."