Vi propongo oggi una delle follie del nostro pianeta, una che mi ha toccato profondamente, che non riuscirò mai a digerire.
Per quelli che non ricordano chi sia Anders Behring Breivik, vi dico subito che è l'assassino della strage di Oslo, dove circa 97 persone di giovane età hanno perso la vita per un raptus di pazzia del suddetto omicida norvegese, peraltro convinto di aver rispettato il suo credo in quanto gli studenti uccisi erano, a suo dire, amici dell'islam.
Ebbene Breivik dopo il suo processo sarà condannato dal Tribunale di Oslo e probabilmente finirà nel carcere a 5 stelle, denominato dagli addetti ai lavori, il carcere più civile del mondo.
Un posto idilliaco per un detenuto, quasi un albergo che farebbe invidia a molti senzatetto e delinquentelli di necessità.
Inutile manifestare il mio sdegno, ci sono cose che a questo mondo sono ingiuste, e questa è una di quelle difficili da mandare giù. Soprattutto se si pensa ai famigliari delle vittime di un pazzo maniaco omicida, che hanno avuto il dolore più grande della loro vita, e aggiungo senza nessuna colpa.
Vi propongo un articolo di Emanuela Zuccalà, tratto da CorriereDellaSera.it, che descrive nel dettaglio la vita che si trascorre ad Halden, buona lettura.
di Cristian Amadei
Ad Halden, nel carcere a cinque stelle
Il «Time» lo ha definito “la prigione più umana al mondo”: celle singole con bagno e corsi di musica. La prova del nove? Quando arriverà Breivik
OSLO - La tavola è apparecchiata con cura, tovaglioli bianchi e candele al centro. Il menu: polpette in salsa di ribes, crauti alla panna, cipolle caramellate, composta di prugne per dessert. «Non sapevamo del vostro arrivo, avremmo preparato qualcosa di speciale» si scusa Sylvia, insegnante di cucina piena di orecchini.
E noi, pranzando con gli allievi detenuti che parlano un inglese perfetto, abbiamo già dimenticato di trovarci in un carcere di massima sicurezza, tra 250 criminali d’ogni specie che paiono docili come scolaretti. «Sono in vacanza» ride Karolis, un lituano condannato per spaccio, che stentava a crederci quando è arrivato qui: niente sbarre alle finestre; niente guardie cattive ma sorridenti giovani in divisa che girano in monopattino per i viali; atmosfera quieta, distante dalla tensione maleodorante che taglia l’aria delle galere. Siamo ad Halden, sudest della Norvegia, dentro quella che Time ha definito “la prigione più umana al mondo”.
LA CASETTA NEL VERDE - Quest’avanguardia del trattamento carcerario, inaugurata nell’aprile 2010 e costata un miliardo e mezzo di corone (quasi 200 milioni di euro), sorprende subito per l’armonia architettonica: il cemento sta fuori, nel muro di cinta nascosto dagli alberi; dentro solo legno e mattoni, vetrate, corridoi bianchi e arredi stile Ikea. I detenuti stanno in sezioni da dieci, ognuna con una sala-cucina dotata di maxi televisore e Xbox, divani, giochi da tavolo. Le celle sono singole, con televisore a schermo piatto, bagno privato, frigorifero, tastiere e chitarre per chi studia musica. Le due palestre e la biblioteca farebbero invidia ai migliori campus universitari. E nel verde c’è una casetta vera dove passare il weekend con i familiari, tra barbecue e giocattoli per i figli.
CINQUE STELLE, PALESTRA, STUDIO E LAVORO - «L’edificio è nuovo, ovvio che abbia ogni comfort» minimizza il direttore Are Hoidal. «Ciò che ci distingue è che qui ogni detenuto studia o lavora, ed è pagato 57 corone al giorno». Circa sette euro, poco per la ricca Norvegia ma abbastanza per comprare sigarette e cibo in più (tre pasti al giorno li fornisce la prigione) nel negozio interno. La quotidianità è scandita: scuola o lavoro fino alle 15, cena (prestissimo, alle 16), poi le celle si chiudono per un’ora, giusto per ricordare che è pur sempre una galera. Sport in palestra o all’aperto, e alle 20,30 le celle si serrano fino al mattino.
C’è una falegnameria dove si fabbricano mobili da giardino e culle per neonati, un’officina meccanica, un laboratorio di web design. Molti studiano per il diploma o per la laurea, altri imparano musica e riprese video, con cinquanta tra insegnanti, psicologi, assistenti sociali. Il concetto è: tutti devono uscire con un pezzo di carta per inserirsi nel mercato, che in Norvegia non conosce crisi. E la prigione aiuta nel collocamento.
«VICINI DI CASA» - «Solo il 30 per cento dei detenuti sono stranieri» spiega il direttore «gli altri torneranno nella società norvegese: qui non esiste l’ergastolo, il massimo della pena è 21 anni, dunque ognuno potrebbe diventare il mio vicino di casa. E io non voglio un vicino rabbioso, che ha passato anni rinchiuso nell’ozio». Funzionerà davvero un sistema così carezzevole? In fondo qui incontriamo grossi trafficanti di droga, assassini, pedofili...
Anche se nella cucina bianca, mentre affetta peperoni, Kenneth che ha preso 18 anni per spaccio sembra solo un rampollo di buona famiglia un po’ annoiato: ad Halden si è iscritto a una prestigiosa università privata (settemila euro l’anno, paga il carcere) per laurearsi in “nuovi media”. E Jack, 23 anni, abuso su minore: quando lo senti suonare il piano ti chiedi dove sia evaporata la sua malvagità. E Chin, originario di Taiwan, accusato di essere il boss della droga di Oslo, immerso nello studio del marketing.
LA LOGICA DELL'UTILITA' - In Italia a molti non piacerebbe un carcere tanto carente in afflizioni. Qui vince la logica dell’utilità: in Norvegia, a due anni dalla scarcerazione, solo il 20 per cento dei criminali torna a delinquere. Nel nostro Paese la recidiva è al 69 per cento forse perché, nelle galere affollate da 67mila detenuti, poco più di un quinto lavora. Allo Stato italiano ogni detenuto costa 113 euro al giorno; a quello norvegese, l’equivalente di 180: fatte le proporzioni di reddito pro capite, la Norvegia ottiene risultati migliori a un prezzo inferiore. Ad Halden gli agenti sono tanti, 290, tutti disarmati e per metà donne.
Hanno una preparazione universitaria e, alla domanda: “Perché proprio questo mestiere?”, rispondono all’unisono: «Amo lavorare con la gente». Lo dice Stine Rosten, 30 anni: «Qui è tutto nuovo, fresco. Vorrei solo poter passare più tempo con i detenuti per conoscerli meglio». Già. Qui gli agenti giocano a freccette con i criminali, pranzano con loro, nei weekend accompagnano a sciare quelli della sezione tossicodipendenze.
LA RADIO TRA LE SBARRE - I detenuti apprezzano, ma ci ricordano che Halden resta carcere duro: solo venti minuti di telefonate a settimana, una visita di mezz’ora (ma in stanze private con lavandino, asciugamano e preservativi), le guardie sempre accanto. «Che lavoro facevo prima? spacciavo anfetamine» sorride Robert, che ne avrà fino al 2016. Qui dirige il programma Radio Inside, in onda su un’emittente locale: «È un talk show: in Norvegia non era mai esistita una trasmissione radio interamente confezionata da detenuti ».
Tema della prima puntata: Anders Behring Breivik, l’estremista dagli occhi lividi che il 22 luglio ha massacrato 77 persone tra Oslo e l’isola di Utoya. È molto probabile che verrà ad Halden, terminato l’isolamento nel carcere di Ila. Il direttore si irrigidisce, smentisce, ma qualche agente osserva che c’è un’unica prigione, oltre a questa, con un livello di sicurezza adatto a Breivik, e si affaccia proprio su Utoya, l’isola insanguinata: chiuderlo lì sarebbe un sadico contrappasso. I detenuti di Halden, che hanno mandato corone di fiori ai parenti delle vittime, stanno in allerta. «Noi siamo criminali ma lui è diverso, è un’altra cosa» dice Robert.
E Peter, anche lui dentro per spaccio: «Non si è mai pentito: devono trovare il modo di rinchiuderlo a vita». In casi molto gravi, pochi finora, in Norvegia si prolunga la pena oltre i 21 anni. Ed è ciò che ci si aspetta per Breivik. «Mi sforzerei di restare professionale con lui, ma certo non ci giocherei a backgammon come con gli altri» ammette l’agente Stine. «Riabilitare una persona del genere» aggiunge Linn Andreassen, 23 anni «sarebbe una sfida per me e per l’intero sistema penitenziario norvegese». Difficile però pensare che, dopo un soggiorno ad Halden, persino uno come Breivik si trasformerà nel vicino di casa che tutti vorremmo.
Emanuela Zuccalà