dal mattino di Padova di
MERCOLEDÌ, 11 AGOSTO 2010
Pagina 21 – Altre
FONDAZIONE BREDA
Quei beni, un affare gigantesco
Due anni dopo, tutti concentrati sull’indice senza mai alzare lo sguardo verso la luna. La Fondazione Breda seppellita dai debiti è il cristallino esempio dell’intreccio fra affari e politica, interessi privati e dissipazione del patrimonio pubblico, urbanistica “contrattata” e insipienza amministrativa. Certo, è ancora in corso il processo alla “cricca” di Ponte di Brenta e bisogna sempre aspettare la sentenza del tribunale. All’alba del 27 marzo 2008 erano scattate le manette per l’ex direttore della Breda, Michelangelo Cibin, che imbastiva “permute speciali” a beneficio di una società vicentina, truccando l’asta perfino con la suocera ottantenne. Per il tipico “imprenditore” Federico Caporello, che sapeva gestire trattorie, ma era stato coinvolto nel gioco nell’esternalizzazione del servizio cucina. E per il consigliere di amministrazione Sergio Scalisi (capetto Dc di periferia, pronto a restare al centro di ogni coalizione vincente) che assicurava “politicamente” la combriccola. Nel fascicolo d’avvio, anche altri nove indagati.
Ma al di là della cronaca giudiziaria, sulla Fondazione Breda ci sono storie che non si possono più rimuovere. Nemmeno ora che gli ospiti ed i dipendenti della casa di riposo sono stati “salvati” dal Configliachi. O che le banche locali vengono rassicurate sul colossale deficit accumulato, un po’ come sta avvenendo nel “caso Attiva”. Vincenzo Stefano Breda (cinque volte deputato e una senatore del Regno) si sta rivoltando nella tomba, non solo per l’ippodromo che porta il suo nome. Finora, nessuno ha avuto il coraggio di rendere pubblico dettagliatamente il patrimonio che fa capo alla Fondazione. Lo hanno, invece, azzannato senza scrupoli i “curatori” dell’Ulivo e del Polo insieme al sistema parallelo costruito con compiacenti perizie, incarichi su misura, consulenze tutt’altro che disinteressate. Nessuno oggi può chiamarsi fuori, perché tutti hanno contribuito comunque al tradimento del lascito del filantropo. Padova è stata scippata di un’eredità secolare. E sul banco delle responsabilità i padovani possono legittimamente chiamare Consigli di amministrazione nominati dai sindaci e commissari scelti dalla Regione. I beni della Fondazioni sono stati cannibalizzati. A Limena, lottizzazioni selvagge e maldestre operazioni immobiliari portano la firma di Gilberto Vettorazzi. Ingegnere della Margherita, in conflitto d’interesse tipicamente berlusconiano: consulenza da 2 mila euro con la Fondazione e soprattutto socio-amministratore in compagnia di Francesco Canella (sinonimo di grande distribuzione con il marchio Alì) dell’immobiliare Sogepac. A Vigonza, un altro municipio “civicamente” incompatibile con i criteri limpidi dell’amministrazione ispirata ai criteri del buon padre di famiglia. Così si arriva fino a Vicenza. O si torna a Padova Est.
Nel 2010, la dismissione patrimoniale della Breda appare come un affare gigantesco. La Procura della Repubblica ha appena ricostruito lo stesso puzzle di “privatizzazione parallela” che era stato segnalato tempestivamente da denunce ed esposti sia pure anonimi. Il consiglio comunale – così concentrato su Facebook e sui destini del pianeta – è ancora in grado di dedicarsi all’asta di qualche area d’oro che fa tanta gola al “partito trasversale del mattone”? Palazzomoroni.info applicherà il “metodo Brunetta” a beneficio di tutti i padovani o giocherà a Risiko come gli immobiliaristi di San Lazzaro e di Noventa? A Ferragosto, Padova sarà con il naso per aria sotto i fuochi d’artificio. Ma non sarebbe un bel divertimento assistere indifferenti all’eutanasia della Fondazione Breda. Né lasciar trottare ancora la politica fuori dalla massima, assoluta, totale evidenza pubblica. Coraggio, carte in tavola prima, se non si vuol aggiungere vergogna ad una pagina già nera della storia di tutti.