«Proprio nel 1965, quando pubblicai "Strategia della guerriglia urbana", i Tupamaros ci videro una luce, in quanto dicevo che "le foreste di cemento sono più sicure delle foreste di alberi". E che le città hanno più risorse logistiche delle campagne. E dal momento che la nostra civiltà è capitalista, ed essa concentra il capitale e la popolazione nelle città ad un ritmo sempre più accelerato, in paesi come l'Uruguay, che ha più dell'80% di popolazione urbana, era diventato assurdo andare a fare la guerra rivoluzionaria nelle campagne, dove c'erano più mucche e pecore che popolazione rurale.»
Vale la pena spendere più di una parola su Abraham Guillén, uno dei primi teorici della guerriglia urbana, dopo la seconda guerra mondiale; autore, nel 1965, di quella "Strategia della guerriglia urbana", che poi ispirerà sia il rivoluzionario brasiliano Carlos Marighella che i Tupamaros, in Uruguay e i Montoneros in Argentina. In America Latina, Guillén ci arriva nel 1948, per vie traverse, dalla Spagna. Commissario politico della 14.ma Divisione e del Quarto Corpo dell'Esercito, comandato da Cipriano Mera, durante la guerra civile spagnola, Gullén si ritroverà, il 4 aprile del 1939 ad Alicante, insieme ad altri ventimila combattenti che aspettano invano le navi del Comitato Internazionale di Coordinamento. Catturato dai franchisti e condannato alla pena di morte, poi commutata in vent'anni di carcere, evade nel 1942. Riarrestato nel 1943, evade per la seconda volta e passa clandestinamente in Francia, da dove, nel 1948, emigrerà in Argentina. Sarà lì che si coinvolgerà con la guerriglia peronista, partecipando al gruppo degli Uturuncos, i primi a praticare, fra il 1959 ed il 1960, la guerriglia rurale ed urbana nel nord del paese. Catturato, imprigionato e poi liberato, nel 1961 si trova a Cuba, come istruttore militare. Dopo la rottura con il gruppo dirigente cubano, a causa del suo orientamento preferenziale per il proletariato urbano (il suo libro sulla guerriglia urbana era già stato tradotto in inglese, ed era conosciuto dalla Nuova Sinistra statunitense degli anni 1960), passa a Montevideo, in Uruguay, dove collabora con i Tupamaros, e dove pubblica, sotto lo pseudonimo di Arapey, diversi lavori sull'economia latinoamericana e sulla tattica guerrigliera. E' del 1969, il suo libro "Desafío al Pentágono”, dove formula una critica del "foquismo". Nel 1973 torna a Buenos Aires, dove collabora con altri gruppi rivoluzionari, per poi "esiliarsi" a Lima, in Perù, nel 1974. Più tardi, dopo la morte di Francisco Franco, torna in Spagna, dove morirà nel 1993.
Per tutta la vita, era rimasto fedele alle sue radici anarchiche, ma la sua esperienza militare lo aveva portato, fra gli anni 1960 e 1970, nell'orbita dei gruppi che praticavano la lotta armata, e che tutto erano tranne che anarchici. In un'intervista del 1978, rilasciata alla rivista "Bicicleta", Guillén prova a riassumere e a chiarire la sua esperienza. Ne traduco, l'ultima parte, quella che credo ci interessi più da vicino:
Biciclete: Cambiando continente, qual è il tuo giudizio sul modo in cui la R.A.F., in Germania. o le Brigate Rosse, in Italia, mettono in pratica la guerriglia urbana?
Abraham Guillén: Le Brigate Rosse hanno dimostrato l'efficacia della guerriglia urbana al fine di creare delle situazioni politiche, portando praticamente il paese sull'orlo del collasso politico. Quindi, in qualche modo, il "compromesso storico" dei comunisti e dei democristiani italiani è stato come scosso da un terremoto politico. Dal punto di vista tattico, le Brigate Rosse, facendo uso di pochi uomini e poche donne, hanno creato delle situazioni, sotto forma di guerriglia urbana, che non avrebbero potuto essere create per mezzo della guerriglia rurale. Ciò dimostra che la guerriglia urbana non è alla ricerca di una grande battaglia, né di barricate o di liberare una città, come hanno fatto i sandinisti contro Somoza, ma di produrre una situazione politica delicata che possa, per esempio, liquidare per mezzo dell'impiego di qualche guerrigliero, il "compromesso storico" democristiano/comunista in Italia.
Tuttavia, la strategia della disperazione non è affatto la migliore per far trionfare la guerriglia urbana, come è avvenuto in Germania ed in Italia, dal momento che la controffensiva del potere può mettere in campo alcune regole del gioco in cui non sono più rispettati i diritti umani. Le cose stanno così, se le guerriglie urbane tedesche ed italiane non mobilitano affatto la popolazione che è alla base delle loro azioni, se queste minoranze armate non convincono affatto le masse popolari disarmate, allora non ci sarà il trionfo della rivoluzione. Bisogna perciò domandarsi: a cosa serve la drammatizzazione della lotta? A meno che non si tratti di destabilizzare un paese, o di espellere un partito dal potere, di modo che un altro ne prenda il suo posto (ma sarà migliore o peggiore?), spingere all'estremo la violenza non è giustificato, se poi si va a caccia per far cacciare altri.
Finché le condizioni economiche, politiche, sociali, morali, non sono mature per una rivoluzione, ogni atto estremo può accentuare ancor di più la controrivoluzione, portando ad una dittatura di tipo nazi-fascista oppure, semplicemente, ad una situazione di "guatemalizzazione" di un paese, dove il terrore imposto dagli attuali dittatori non ha niente da invidiare a Hitler, Mussolini e Stalin, in quanto ad ignorare i diritti umani, fucilando indiscriminatamente.
Non ho molte informazioni sulla guerriglia urbana europea, ma immagino che essa sia staccata dai movimenti sindacali operai, oggi riformisti (socialisti o comunisti), che potrebbero essere mobilitati da questi guerriglieri, per accedere ad un socialismo autentico. Quale? Come? Quando? Con quale programma? E' qui che risiede la debolezza della guerriglia europea. Qual è il suo messaggio? Come si risolve la crisi della società post-industriale? Se la politica è cattiva, la strategia non può essere buona; essa viene sconfitta, non per codardia, ma per mancanza di intelligenza.
In sintesi: per poter farsi carico della storia in un momento critico, un rivoluzionario deve conoscere le leggi della dialettica e dell'economia politica; dominare la politica scientifica; unificare il suo pensiero e la sua azione; saper aspettare un'occasione storica, che si presenta sempre, per trasformare il mondo e risolvere le contraddizioni che si oppongono all'interesse generale; non interrogarsi continuamente su quello che può essere risolto, senza essere né centristi né opportunisti; distruggere solo ciò che può essere sostituito, senza affrettare né ritardare il cambiamento delle strutture socio-economiche, politiche, culturali e giuridiche.
Al di sopra di ogni dogma e settarismo, un rivoluzionario dev'essere fedele alla verità ed alla libertà; non parlare né procedere come infallibile, ma accettare la prova e l'errore, la pluralità dei criteri; rifiutare il culto della personalità; lasciare che la società faccia assai meglio, senza la tutela dello Stato. Ed essere sempre disposto ad apprendere attraverso l'errore, per arrivare alla verità senza mai dimenticare che si vede solo ciò che è conosciuto e che, di conseguenza, si vede assai meglio il futuro, il presente ed il passato quando sono conosciuti. Le persone vedono poco perché sanno poco; è necessaria una rivoluzione culturale permanente affinché le persone, per mezzo della conoscenza, abbiano il potere autonomo di essere, e solo loro, il soggetto attivo della storia, superando così le strutture politiche di dominio per mezzo dell'autogestione, senza borghesia monopolista né burocrazie totalitarie.