
Accade dunque che se una disciplina come la boxe - si vedano i successi, seppur diametralmente opposti, di "Rocky" e "Raging Bull" - o un argomento come le corse d'auto clandestine - si veda la piega poco motoristica che ha preso il franchise di "Fast 'n' Furious" - si sono prestati con successo alle necessità hollywoodiane, quando s'è trattato di trasporre sullo schermo uno sport come la Formula 1, da sempre tradizione europea, le pellicole venute fuori non hanno lasciato il segno. Si pensi all'operazione - voluta da Sylvester Stallone, inoltre resosi autore della sceneggiatura - che ha portato alla realizzazione di "Driven" (2001), film che diviene sintesi perfetta di quanto s'accennava in apertura. Gli elementi che conducono in questa direzione sono, oltre che evidenti, molteplici: in primo luogo, le informazioni tecniche fornite durante la visione - ad esempio attraverso la telecronaca dei gran premi - apparirebbero come dati di fatto anche al più distratto spettatore europeo; tali indicazioni - come lo zigzagare nel giro di ricognizione per riscaldare le gomme, il prendere la scia per effettuare un sorpasso, etc. - vengono proposte come novità che, probabilmente, per il fruitore americano è necessario apprendere in una maniera che a noi risulta invece goffamente enciclopedica -. Secondariamente, la mancata metabolizzazione culturale s'evidenzia dai riempitivi forzati tipicamente hollywoodiani inseriti all'interno dello script (si veda la predominanza degli intrecci amorosi; gli incidenti spettacolari contro ogni limite imposto dalla fisica; gli inseguimenti con le monoposto da corsa in mezzo al traffico di Chicago). La penuria di titoli riguardanti la massima categoria mondiale degli sport motoristici - tra i quali ricordiamo "Un attimo, una vita" (1977) di Pollack, dove l'intimismo del personaggio di Al Pacino rende la pista poco più che un fondale d'ambientazione, e il più recente ma ugualmente poco riuscito "Rush" (2013) di Ron Howard - è ulteriore sintomo di un'evidente attrito con lo sguardo d'oltreoceano.

In attesa dei due biopic, da poco annunciati, riguardanti Enzo Ferrari - uno che vedrà Robert De Niro vestire i panni del celebre costruttore,l’altro che verrà diretto da un certo Michael Mann - sembra assodato che nessuna macchina da presa (ribadiamo che l'unico audiovisivo degno di nota è il documentario "Senna") abbia ancora trovato la giusta angolazione dalla quale inquadrare uno sport sottovalutato sotto troppi punti di vista.
Antonio Romagnoli