Forse un mattino andando in un'aria di vetro Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
L'incanto che questa poesia ha sempre suscitato in me è dovuto al mio attaccamento al tema filosofico e letterario dell'illusione, a quelle teorie che si concentrano sull'idea che la realtà sia solo una serie di immagini e schemi che ciascuno, per la propria conformazione mentale ed estetica, percepisce in maniera differente. Allo stesso tempo, però, Montale sottolinea in questi versi l'idea della vanità, dell'impossibilità di afferrare la verità e l'essenza delle cose: il poeta è come uno spirito illuminato, un eletto che può percepire che ciò che 'gli uomini che non si voltano' (v. 8) considerano realtà altro non è che un inganno, un ''inganno consueto' (v. 6).
Penetrare l'illusione e smascherarla è un 'miracolo' (v. 2), un'azione a portata di pochi, ma tanto esclusiva quanto spaventosa, che provoca lo stesso disorientamento e la stessa paura che può provare un ubriaco incapace di afferrare la piena consistenza delle cose (v. 4). Ma questo poeta mistico, che può cogliere la costruzione stessa dell'illusione, resa efficacemente dall'accumulo spesso segnato dall'asindeto (fra i vv. 5 e 6, posti in enjambement), è come una moderna Cassandra: vede, sa, ma è destinato a non essere creduto.
C.M.

