“Di tutti i vestiti e le vesti da camera indossate da Madame de Guermantes, quelli che mi sembravano provvisti di un significato speciale, erano i vestiti fatti da Fortuny sulla base di antichi disegni veneziani.”
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto.
Uno dei luoghi che fanno parte ancora della “mia” Venezia e che ho trovato pressoché immutato nel corso degli anni è l’Isola della Giudecca, che conserva ancora quella sonnecchiosa e dolcissima quiete che è ormai impossibile trovare al di là del Canale.
E proprio sull’Isola della Giudecca c’è un luogo speciale che desideravo visitare da tantissimo tempo: lo showroom di Fortuny.
La mia ossessione per i tessuti di Mariano Fortuny risale al 2008 quando scoprii per caso le meraviglie gotiche di Palazzo Fortuny (già Pesaro degli Orfei) e il suo decadente Museo, innamorandomene letteralmente. Da allora possedere anche solo uno scampolo di quei tessuti era in cima alla lista dei miei desideri. Era… perché finalmente il desiderio si è realizzato!
Ma chi era Mariano Fortuny de Madrazo? E’ stato definito un negromante nomade, un artista-industriale, un esteta eclettico sempre in cerca di nuove suggestioni, un Viaggiatore incessante, un designer ante litteram. Ma la definizione che amo di più è quella di D’Annunzio che lo apostrofò “tintore alchimista, stampatore di nuove generazioni di astri, pianeti, animali”.
Fortuny fu un precursore del fusion: tinse i suoi tessuti prendendo spunto dalla tecnica dei Katagami giapponesi, si ispirò ai motivi ornamentali copti, persiani e turchi contaminandoli con quelli rinascimentali, attinse ai codici miniati irlandesi, ai simboli paleocristiani, alla scrittura cufica, alla tradizione indù, mescolò l’Islam berbero alla Castiglia. Inventò sete e velluti iridescenti e ne ricavò abiti incredibili ispirati ai sari, ai mantelli orientali e ai kimoni, li costellò di pietre vitree e murrine e ne rivestì le Divine del tempo, come Eleonora Duse.
La fabbrica sorge accanto al maestoso Molino Stucky. I locali, i macchinari e gli stampi sono ancora quelli degli anni ’20 e la produzione è avvolta in una magica aura di mistero: nessuno se non gli addetti ha accesso agli stabilimenti, le ricette sono note solamente a quattro persone ma ciascuno conosce solo il proprio segmento di lavoro. Pigmenti, colle e fissanti sono tutti rigorosamente naturali e tutti rigorosamente segreti. Anche il metodo di stampa è un segreto gelosamente custodito ed è esattamente quello inventato da Mariano Fortuny e realizzato attraverso macchinari da lui concepiti e rimasti intatti. Lo zinco viene ancora pestato con lo stesso macinino di 100 anni fa, e le pezze di tessuto asciugano ancora all’aria per 2/3 giorni.
Quella dei tessuti Fortuny è una produzione in serie ma mai uguale perché lo stesso colore, usato in giorni diversi, può dare risultati differenti a seconda della temperatura e dell’umidità dell’aria. Ogni singola pezza, alla fine del procedimento, viene ritoccata a mano, con pennelli e strumenti adatti, per rinvigorire i disegni e dare maggiore freschezza e luminosità ai colori. Le pezze (tutte in cotone egiziano, poiché sete e velluti non vengono più prodotti) subiscono, quindi tra lavorazione vera e propria e stasi di riposo, decine di passaggi per un totale di tre o quattro mesi di lavorazione.
Sono questi i tanti motivi per cui possedere un tessuto di Fortuny significa possedere una vera e propria opera d’arte, autentica e in qualche modo irripetibile, ed io sono davvero felice del mio metro e 1/2 di stoffa preziosa, indipendentemente da quello in cui si trasformerà.
I wore: skirt, Dries van Noten; t-shirt, Petit Bateau; collar, Dragana Perisic; Shoes, Haiku by United Nude; Sunglasses, Dior; bakelite bangles, vintage; nail polish, Chanel Pirate; Pochette, Giovanna Giuliani.
Fonti: Mariano Fortuny, il negromante nomade di Giovanna dal Bon; Mariano Fortuny, l’artista-industriale che rivive nei suoi tessuti di Paolo Stefanato.
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