Guardate l’espressione di quella ragazzina nella foto, esausta ma non doma. E i suoi occhi spalancati, ma non impauriti, pur nella consapevolezza di quel che l’aspetta.
È Omayra Sanchez, da tre giorni è imprigionata in una massa di acqua gelida, fango e detriti mentre le sue gambe non sono più in grado di muoversi dopo i colpi ricevuti da barre metalliche nel crollo della sua casa. Solo la testa è rimasta fuori.
La foto si intitola “Agonia di Omayra Sanchez”, ma può essere considerata la rappresentazione dell’impotenza e del coraggio. Ancora una volta la storia di una disgrazia, si lamenterà qualcuno di mia conoscenza
Comunque eccola.Novembre 1985, Omayra, 13 anni, stava nella sua casa di Armero in Colombia e insieme ai genitori e il fratello si stava chiedendo cosa fosse tutta quella cenere che cadeva a pioggia. La causa era l’eruzione del vicino vulcano Nevado Del Ruiz che aveva provocato frane e tracimazione dei fiumi. Tonnellate di fango, cenere e acqua si riversarono sulla cittadina sommergendola. Per due giorni e tre notti i soccorritori tentarono in ogni modo di tirarla fuori da quella trappola, progettando persino l’amputazione delle gambe, ma inutilmente poiché gli strumenti necessari non arrivarono in tempo. Mentre aspettava fiduciosa, Omayra parlò con giornalisti e apparve nelle TV di tutto il mondo, raccontando di sé, degli amici, della nonna che non era riuscita a salvare.
Frank Fournier, un fotografo francese, arrivò il terzo giorno è scattò una serie di immagini, tra cui quella in alto. A quel punto Omayra era ormai stremata, cominciava anche ad avere delle allucinazioni e infatti dopo poche ore, era il 16 novembre, morì.
La foto scatenò numerose critiche, ci fu chi diede dell’avvoltoio a Fournier per aver scattato le foto invece di prestare soccorso e per aver ricavato fama e premi, vinse infatti il Word Press Photo, da quella disgrazia. Ci si chiese se non fosse stata un’oscenità aver mostrato la sua sofferenza e aver violato il suo diritto alla privacy, proprio in prossimità della morte.
Egli ribatté che la foto contribuì alla raccolta di denaro da tutto il mondo per aiutare i superstiti e mettere in luce la irresponsabilità e l’incapacità dei leader del paese che non avevano messo in atto misure preventive nonostante l’allarme dato in anticipo dai vulcanologi. Nella sciagura morirono circa 25 mila persone.
Questa vicenda non può non riportarci alla mente la storia terribile di Alfredino Rampi, caduto in un pozzo artesiano il 10 giugno 1981 e morto a 60 metri dalla superficie dopo tre giorni di tentativi andati a vuoto di salvarlo. Anche in questo caso una tragedia si trasformò in un evento mediatico con una diretta televisiva non stop lunga 18 ore a reti RAI unificate. E intorno, nel luogo non transennato, si raccolsero fino a 10 mila persone cui si aggiunsero diversi furgoncini di venditori di generi alimentari.
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