Davide Scalenghe
Davide Scalenghe sul suo profilo Facebook scrive: “Tutto quello che leggo dall’Economic Forum di Davos appena apertosi, mi sembra quasi grottesco a livello filosofico: un ormai passé, platealmente passé, eppur frenetico tentativo di aumentare le tirature della “crescita” in un mondo agonizzante. Non è ormai chiaro che la grande importanza attribuita al Pil, i dati ad esso relativi e, forse soprattutto, i criteri che lo conformano sono all’origine di una delle più diffuse forme di arretratezza sociale?”
Serge Latouche dice: “Il problema non è quello di pagare il debito, il problema è di fare finta di continuare questo gioco di massacro su scala globale. (…) Già da tempo non si deve parlare di democrazia, ma di post-democrazia, dominata dai media e dalle lobby, che manipolano e detengono il vero potere, quello delle imprese transnazionali. (…) Questa politica di lavorare sempre di più per guadagnare sempre di meno è un’assurdità totale, in un mondo dove si produce troppo in rapporto ai limiti delle risorse naturali. (…)Sicuramente la crisi può segnare la fine del capitalismo. Purtroppo si può avere una forma ancora peggiore, sia la decrescita sia la barbarie, il totalitarismo duro (…..) La nostra società dei consumi non è una società di abbondanza, è una società di scarsità, e la pubblicità è fatta per renderci insoddisfatti di ciò che abbiamo, per farci desiderare sempre di più, perché il sistema ha bisogno di produrre e consumare sempre di più, e per consumare sempre di più non dobbiamo essere mai sazi, ma sempre frustrati”
Arundhati Roy
Arundhati Roy nel suo libro “Quando arrivano le cavallette” (assolutamente da non perdere perché, pur parlando dell’India, risponde di fatto a molti quesiti internazionali vitali per la nostra sopravvivenza) scrive: “Cosa succede ora che democrazia e capitalismo si sono fusi in un unico organismo predatorio dall’immaginazione limitata e costretta, incentrata quasi esclusivamente sulla massimizzazione dei profitti? (…) La nostra intelligenza strabiliante sembra averci privato dell’istinto di sopravvivenza. Saccheggiamo la terra nella speranza di accumulare surplus materiali che compensino quella cosa profonda e indicibile che abbiamo perduto.”
E ancora: “La coscienza collettiva equivale all’opinione della maggioranza? Sarebbe giusto affermare che essa viene modellata dalle informazioni che riceviamo?”
Stasera a Servizio Pubblico sento un esponente sardo del movimento dei forconi dire: “In Europa non si produce più niente, i posti di lavoro quando non si produce non ci sono. Cosa facciamo, l’Europa della finanza?”
Abbiamo gli Indignados e i ragazzi di Occupy che al motto “People before profits” cercano di scuotere il mondo.
La Torresani, nel suo piccolo, pensa che siamo spacciati.
Sento Monti rientrare dai meeting europei e accennare un moderato ottimismo sulla tenuta del sistema e sulla ripresa. Tenuta del sistema? Quale sistema? Quello che sta implodendo nutrendosi di se stesso?
La politica non ha voluto impedire che la globalizzazione distruggesse la nostra economia, perché la globalizzazione permetteva di arricchire ulteriormente gli ultraricchi: una politica totalmente asservita a interessi privati (propri o – talvolta – altrui) che hanno distrutto tutto ciò che eravamo.
Il risultato è un occidente morto dal punto di vista produttivo, saccheggiato nella dignità, con un sistema finanziario che piscia sulla testa sulla gente comune ridendo come un grasso e sazio porco: un sistema in ginocchio, una giungla in fiamme e dieci stronzi con le tasche piene che se la sganasciano.
E nessuno fa niente.
In uno stato come il nostro che potrebbe vivere di cultura, turismo, ricerca, manifattura, artigianato ed enogastronomia (non faccio cenno alla moda, che ormai ha quasi portato tutto in estremo oriente), lasciamo invece sbriciolare Pompei, non sappiamo far soldi con i nostri musei, piazziamo inceneritori e discariche nei parchi naturali quando siamo gli inventori delle piattaforme ecologiche, sommergiamo Napoli di rifiuti, asfaltiamo le spiagge, costruiamo sui vulcani, affoghiamo le città nelle polveri sottili e diciamo che Dante Alighieri non si mangia (il Festival della Letteratura di Mantova frutta 10 euro per ogni euro investito, per dire).
E pensiamo ancora a come risollevare l’industria senza provvedimenti strutturali seri: come accendere il fuoco con cartamoneta. O come pulircisi il culo.
Non so se a quelli di Montecitorio o di Bruxelles è arrivata voce che, con una concorrenza che vende a un quinto del nostro prezzo, quaggiù siamo spacciati e soli. Non so se sanno che qui è tutto da rifare perché tra un po’ tocca diventare coprofagi per poter campare.
Ora è troppo tardi per tutto, persino per capire che la salvezza – visto che la globalizzazione senza regole ci ha fatto a brandelli – può risiedere solo nelle eccellenze, nelle cose che gli altri non hanno e non avranno.
E nel recupero di un’etica pubblica, economica e ambientale che ormai conosciamo solo dai libri.
L’unico tempo che ci è concesso è quello di una consapevolezza parziale e tardiva: un tempo sadico che si nutre della nostra agonia, di noi che non abbiamo nemmeno un cannone nel cortile.
Il nostro futuro sta già accadendo, ce l’abbiamo sotto gli occhi, e odora di muri e cortine.
Che brutto mondo ai nostri figli, uagliò.