Fra Asfalto e Assenzio
Camminiamo sull’asfalto perché lo reputiamo stabile.
Così ci è stato insegnato.
Camminiamo sull’asfalto perché andiamo più veloci.
Camminiamo sull’asfalto perché ci rende sicuri, apparentemente sicuri.
Ma quando cadiamo sentiamo tutta la sua ostilità e freddezza. Ci sbucciamo le mani, le ginocchia ed i gomiti. Ecco quindi che il dolore esplode. Il sangue denso e caldo cola lentamente sulla nostra pelle. Arriva un altro impulso. Realizziamo di essere a terra, siamo soli. Ora però sale l’adrenalina in noi, il cuore pulsa ci e sentiamo più vivi di prima. L’impatto è stato duro, ma ci ha reso consapevoli. Magari saggi. Nel frattempo ci rialziamo, doloranti e senza più pensieri. Almeno così crediamo. Il passo si è fatto indolente, eppure palpitiamo ancora verso la nostra meta. Qualunque essa sia. Inevitabilmente, ci imbattiamo in un bivio. Chissà da quanto tempo ci aspettava. E noi stiamo li in piedi con lo sguardo lontano. Ci voltiamo prima a destra poi a sinistra. Indi, con il naso all’insù, scrutiamo il cielo terso d’azzurro. Tutt’intorno il profumo dei fiori inebria i nostri sensi così come la luce del sole abbaglia il nostro placido viso. Sono attimi di percezioni e sensazioni, eppur sembrano eterni. Forse che ci siamo estraniati troppo? Va bene così, ora, respiriamo forte e riapriamo gli occhi. Il bivio è ancora lì. Continuare o cambiare strada? Abbiamo deciso. Cambiamo. Ci trasciniamo ora sulla terra, polverosa e tumultuosa. Lenta come un’agonia e languida come il più tenero sguardo d’amore.
Il terreno tenue sotto i nostri passi ricorda il seno di una donna amata incontrata nel tragitto. Così confortevole e sicuro, colmo d’amore e tenerezza, non può di certo essere materia del peccato originale. Lasciamo andare i nostri pensieri che vagano leggeri e solitari come piume al vento. Poi, tutto d’un tratto, cadiamo ancora. Ma questa volta non sentiamo nulla, solo un abbraccio. Caloroso e sincero come il volto di una madre. Abbiamo le vesta sporche ed il sapore della sabbia sulle labbra. La sensazione è ora piacevole e restiamo li, fermi. Quasi immobili. Il tutto ci ricorda di esser stati bambini e di aver creduto alle favole, a Babbo Natale con le sue renne. Ci soffermiamo su lunghe immagini, offuscate ormai dalla polvere del tempo. Messe da parte per far posto a troppe cose e pensieri materiali. Durante il percorso, abbiamo infatti accumulato cose, cose, cose. E ancora cose. Ma non è troppo tardi. Di fretta ci spogliamo di tutto ciò e restiamo nudi, solo sentimenti ed emozioni. La luce nel frattempo si è fatta fioca ed il sole sta tramontando laggiù dietro le montagne rocciose. Rialzandoci di scatto, abbiamo dovuto lasciar andare quelle braccia così teneramente avvinghiate, le une alle altre. Ricominciamo a camminare.
Ecco, ora mi chiederete dell’assenzio. Cosa c’entra con tutto ciò? Forse che rappresenta la condizione umana più antica? Ne sono certo. A mezz’aria, sotto di noi la monotonia, al di sopra una leggiadra euforia a lungo proibita, talvolta dimenticata. Un’emozione nata nella notte dei tempi dal palmo di Iside sorella di Osiride, figlia di Nut e Geb.
Dea della magia che plasmò la civiltà prevedendo il Nulla come nettare unico e supremo dal quale estasiarsi. Ecco quindi che Assenzio è l’assonanza di Assenza, forse il contrario. Quest’ultima rendeva attenti e forti. Una non-certezza che faceva rischiare e partire. Adattare e cambiare. Faceva semplicemente imparare la vita giorno dopo giorno. C’erano il rischio e la sfida. C’era andare e scoprire.
Si è fatto tardi, il cielo ora buio si mostra puro così com’è, carico di stelle e pianeti. A lato della strada sterrata troviamo una locanda dove riposare e rifocillarsi. Ci basta poco, del pane azzimo e un bicchiere d’acqua. Ancora un pensiero ci passa per la testa. Siamo ora certi di voler una vita intensa. Fatta di buche e polvere, ma che ci sappia dolcemente cullare. Una vita dove l’euforia e l’entusiasmo ci sappiano guidare leggeri verso nuovi orizzonti. Fra asfalto e assenzio.