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Fra ilva e vita: quanto puo' valere davvero una "minchiata"?
Creato il 27 novembre 2012 da Alessandro @AleTrasforini"Due casi di tumore in più all'anno? Una minchiata!" - è stato questo il contenuto attribuito al dialogo fra due dirigenti dell'Ilva intercettati durante l'inchiesta promossa nell'ambito della medesima questione relativa all'azienda. Cosa altro è possibile pensare di fronte a sentenze come queste? Se qualche caso di tumore in più è "una minchiata", quante altre "minchiate" potranno valere le eventuali vite rovinate e/o spezzate dalla chiusura dell'azienda e dal conseguente allentamento (/annullamento) delle produzioni nelle altre realtà industriali strettamente collegate all'Ilva? Può rispondere a questa domanda, in maniera più o meno obiettiva, un frammento di intervista a Maurizio Landini riportata sul numero odierno di "Pubblico": "[...] D: Quanti lavoratori sono davvero coinvolti nella possibile chiusura dell'Ilva? R: Tra lavoratori diretti e dell'indotto, nelle varie sedi, parliamo di 30-40 mila persone. Poi ci sono tutti quelli che lavorano i prodotti finali. Arriviamo a 100mila persone. [...]" Da questo empirico conto sembrano poi essere escluse tutte quelle altre vite che, 'a cascata', si dipartono nei lavoratori delle famiglie e dell'indotto. Stando ad altrettanti conti rivolti alla quantificazione delle cifre necessarie ad imporre un risanamento, si è osservato come potrebbero servire circa 3-4 miliardi di Euro per la rimessa in sufficiente sicurezza della realtà industriale. E' ancora possibile intervenire, nonostante l'avvenuta chiusura dell'area a freddo? Quante 'minchiate' potrebbero valere le vite spezzate e/o rovinate dalla chiusura (così come dal funzionamento) di questo distretto industriale? Sarà possibile trovare una soluzione definitiva alla 'questione Ilva', dopo anni di silenzio e tragicità insabbiate? Sarà possibile arginare il disastro ambientale ormai acclarato ed il dissesto socio-economico derivante dalla sospensione delle attività? Rispondere a domande come queste sembra, a tutt'ora, quasi una missione impossibile: la colpa di ciò è imputabile forse a tutti coloro i quali hanno permesso che il lavoro diventasse, al contempo, fonte di vita e sorgente di morte? Quanto vale l'unità di misura "minchiata" con cui i dirigenti responsabili sembrano aver inquadrato esistenze distrutte da qualche tumore in più? Sarebbe possibile fornire a questi dirigenti incriminati qualche suggerimento utile per la conversione in termini economici delle vite perdute, linguaggio sicuramente a loro più congeniale e comprensibile? Esistono in rete moltissimi "Safety Calculator" (Es.:http://smallbusiness.healthandsafetycentre.org/sc/tours/default.htm), capaci di quantificare sommariamente (ma sempre meglio della nuova unità di misura 'minchiata', nds) il costo di un'esistenza distrutta a seguito di un generico infortunio sul lavoro. Sarebbe opportuno che certi dirigenti conoscessero (o che le autorità competenti avessero provveduto per tempo a far sapere loro, nds) il reale impatto di una vita spezzata e/o danneggiata dall'attività lavorativa: quante componenti della società finiscono per essere danneggiate? L'impatto della 'minchiata' è, a fatti, traducibile in costi di ricarico che dovrebbero (condizionale d'obbligo, nds) impattare su società, famiglia ed industria: chi ha dato lavoro non può essere esente, al di là di qualunque 'minimizzazione della minchiata' possibile e pensabile. Il nome dell'inchiesta che ha innescato questo tremendo 'effetto domino' spiega, purtroppo, lucidamente il tutto: "Ambiente svenduto". Completano il quadro le (quasi) 600 pagine di motivazione dell'ordinanza di custodia cautelare e le autorizzazioni 'sporche' descritte nei rapporti, solo per citare alcuni esempi. Qualche dirigente e/o responsabile avrebbe potuto compiere per tempo qualche "minchiata" in meno? Quanto sarebbe costato un intervento adeguato in tempi non sospetti? A quanto rischiano di ammontare i costi del mancato intervento nei tempi (purtroppo) sospetti che verranno? A posteri, lavoratori e Governo le ardue risposte.
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