Nel maggio 2012 Adelphi pubblica, con il titolo Il mostro ama il suo labirinto, i taccuini di Charles Simić, poeta serbo naturalizzato statunitense, una delle voci più interessanti del panorama letterario americano contemporaneo, più volte candidato al Nobel per la Letteratura. Questo libriccino, da gustarsi lentamente, una pagina ogni tanto, magari aprendolo a caso di volta in volta, è proprio questo: un quadernetto di appunti – diviso in cinque parti – dalla forma non definita che spazia dall’aforisma alla citazione, dalla polemica alla riflessione di carattere filosofico, politico, religioso, letterario e altro ancora. Largo spazio hanno i ricordi, spesso attinti dagli anni della crescita del poeta in mezzo alle crudeltà della guerra feroce che dilaniava il suo paese natale. Ricordi terribili, ricordi dolci dal sapore d’infanzia, a volte anche iniziazioni lubriche e ad un tempo innocenti.
Originale e scanzonato, poetico e visionario Simić non risparmia battute fulminanti al mondo della poesia e della cultura così come a quello della politica. A volte si aprono margini di brevi narrazioni surreali nelle quali i periodi si inanellano l’uno nell’altro quasi senza continuità e tuttavia con effetti di sorprendente lucidità. Irriverente e pungente Simić sconfina spesso in una ironia quasi macabra e non risparmia giudizi spietati a proposito di qualsiasi argomento ma, sopra tutti, sulla stupidità dell’uomo, ripiegandosi tuttavia, alcune volte, anche su riflessioni piene di poesia, dolcezza e inaspettata delicatezza, riuscendo, anche in questo, ad essere spiazzante.
Appunti personali, quindi, (persino sul jazz di cui è grande appassionato) come un disordinato insieme di note e idee da fermare sulla carta per non dimenticarsene.
È come se Simić ci avesse regalato il momento dell’intuizione, della nascita dell’ispirazione, permettendoci così di sbirciare tra questi frammenti di scrittura nascente.
A proposito della singolarità che caratterizza il genere di questa raccolta sono illuminanti le parole dello stesso autore: “La mia aspirazione è creare un non-genere fatto di narrativa, autobiografie, saggistica, poesia e, naturalmente pochade!”
A dimostrazione, quindi, che questi taccuini non sono affatto poco meditati e poco rifiniti.
Impossibile non sottolineare a matita alcune delle parti più belle durante la lettura.
“Il tempo della poesia è il tempo della speranza”.
“Il poeta vede quello che il filosofo pensa”.
“Ogni difesa della poesia è una difesa della follia”.
“Scrivo per irritare Dio e per far ridere la Morte. Scrivo perché non ci arrivo. Scrivo perché voglio che ogni donna del mondo s’innamori di me. Ma alla fine tutto si riduce al fatto che scrivo perché scrivo”.
(Alessandra Farinola)