Il sottoscritto probabilmente è quanto di più lontano possa essere da un fan boy apple, dato che ha vissuto le guerre di religione contro i prodotti della mela fin da quando i Macintosh montavano processori Motorola 68030 e il rivale si chiamava MS-DOS , non cambiando mai fazione man mano che i nuovi prodotti, con più o meno successo si sono susseguiti.
Ma non posso che riconoscere , per una volta, come corretto quanto appena fatto dalla casa della mela: ha innalzato i prezzi dei propri prodotti (notoriamente non proprio economici) per compensare l’aumento del contributo di equo compenso voluto dal ministro Franceschini su pressioni lobbistiche della SIAE.
Ovviamente il parlamentare PD è andato su tutte le furie per l’azione “sovversiva” di Apple, facendola passare per la cattivona di turno che vuole vessare il consumatore, cercando di scaricare sull’azienda americana le ovvie conseguenze della sua mossa, ma che era facilmente preventivabile quando ha firmato il decreto sulla copia privata (nonostante via twitter sostenesse, probabilmente bluffando, il contrario).
Infatti su ciascun supporto di memoria (come ad esempio cd o dvd vergini, memory card per cellulari o macchine fotografiche digitali, chiavette usb, hard disk interni o esterni) venduto in Italia, o su qualsiasi dispositivo che contenga una sua memoria interna (ad esempio un computer, un tablet, uno smartphone, un dvd recorder, una consolle di videogiochi) ora si paga un balzello, chiamato “equo compenso per copia privata” , che può incidere anche per oltre 30 euro sul prezzo di acquisto. Già in precedenza era previsto un simile obolo, ma era molto più contenuto, e che esentava alcune tipologie di dispositivi o li toccava solo marginalmente.
Ovviamente se un produttore prima pagava pochi centesimi di balzello e ora si vede costretto a pagare oltre 30 euro, difficilmente potrà decidere di assorbire la nuova tassa come se niente fosse, pertanto la tassa ricadrà giocoforza sul consumatore, anche perchè nonostante alcuni produttori facciano ricarichi spaventosi non sono certo delle onlus, e spesso su alcuni prodotti i margini sono talmente risicati (se non addirittura venduti sottocosto) che anche pochi euro in più possono generare perdite gigantesche, tali magari da far decidere di ritirare determinati prodotti dal nostro mercato, alla faccia dell’innovazione.
Ma la domanda è come mai Franceschini e soci abbiano deciso di assecondare le richieste dell’ente diretto dal canuto cantautore genovese, in barba ai diritti dei consumatori? Secondo la SIAE questa quota serve a coprire gli usi illeciti dei supporti vergini sui quali potremmo copiare un disco, e pertanto non pagarne i dovuti diritti d’autore. Il problema è che cosi facendo si tassa anche chi non fa uso di prodotti di ingegno piratato (esempio la scheda di memoria che sta nella macchina fotografica, che difficilmente conterrà della musica, o i computer che si usano in ambito aziendale, o l’hard disk o la chiavetta usb dove teniamo documenti scritti di nostro pugno).
Ma non è il solo problema, infatti la SIAE usa la favola che la procedura dell’equo compenso sia pratica comune in tutta Europa, peccato che non sia assolutamente vero : solo in Italia e in Francia si tassano i dispositivi, in Germania nonostante ci sia una legge che lo prevede è stata bloccata, mentre i supporti vergini sono effettivamente tassati in alcune nazioni europee, ma molto meno che da noi, tanto che nel belpaese è pratica comune ( e perfettamente lecita) acquistare i supporti vergini in altri paesi della comunità europea per eludere la “tassa SIAE”, con l’effetto collaterale che lo stato italiano perderà l’IVA su quella vendita, che invece andrà in Lussemburgo, Slovenia, Germania o San Marino (tanto per citare alcune delle nazioni dove i supporti vergini costano meno).
La cosa che fa però più imbestialire è il perchè SIAE abbia richiesto questo adeguamento del balzello: semplicemente i tempi sono cambiati e i dischi non vendono più come un tempo soppiantati dal digitale, questo da una parte ha diminuito gli introiti dalla vendita di dischi fisici (e di conseguenza l’ammontare dei diritti d’autore da loro amministrati), e da un’altra ha permesso al consumatore di fruire della musica liquida (ad esempio in abbonamento su Spotify, o acquistando solo il singolo brano su iTunes o Google Play) in modo perfettamente legale senza pagare necessariamente la collecting society (così si chiamano nel mondo gli enti equivalenti alla nostra SIAE) del proprio paese di riferimento, che ovviamente vuole battere cassa.
Se aggiungiamo che le collecting society, diventati dei pesanti carrozzoni dai costi abnormi, ormai non hanno più senso di esistere un po per la possibilità di autoproduzione della musica che esula dal mondo delle case discografiche, e quindi dalla riscossione dei loro diritti, e un po per l’internazionalità della musica venduta in rete, e poi aggiungiamo anche le astruse maniere di ridistribuire i diritti d’autore che premiano certe tipologie di autori, e magari non pagano il vero autore del pezzo suonato (in radio, in discoteca, in un locale) presente nel borderò, si capisce quanto sia scorretto premiare ancora una volta certe lobbies, sopratutto in barba al povero consumatore , che in teoria dovrebbe essere rappresentato proprio dalla fazione politica di Franceschini e Gino Paoli, responsabili di questa ennesima vessazione.
Brian Boitano (redattore)