Puntata anomala quella che viene trasmessa da Corrado Augias, solo in studio. Anomala rispetto alla consuetudine, perché non porta nella direzione ovvia, intuibile, normale, dovuta al fatto di cronaca che ha riempito tutti gli schermi televisivi, l’elezione del nuovo Papa, ma ci conduce verso un dettaglio che potrebbe avere una rilevanza straordinaria e che comunque rappresenta fin da ora una novità assoluta, il suo nome.
Sicuramente nella storia Francesco ci entra a pieno titolo perché è il primo sudamericano ad essere eletto ma anche il primo gesuita.
Ma chi è il primo Francesco al quale il nuovo papa ha dichiaratamente voluto ispirarsi? È il primo papa in duemila anni che prende questo nome, il nome che riporta alla nostra memoria, Francesco d’Assissi, il patrono d’Italia, proclamato, nel 1939, da Pio XII come il “più italiano dei santi e più santo degli italiani”. Eppure le caretteristiche della vita di Francesco d’Assisi lo pongono in una situazione minoritaria, anzi contraddittoria rispetto a quello che è l’animo prevalente degli italiani, solitamente accomodanti, cedevoli, bonari, pronti ad andar di qua e di la. Quel Francesco, al contrario, fu uno di quegli italiani che improntò la propria esistenza a una sola idea, perseguita a costo della sua stessa vita. Muore giovane, quel Francesco. Logorato dai molti mali che si era procurato proprio perseguendo quel suo ideale e dunque non esattamente il prototipo degli italiani che d’altro canto non sembrano amarlo particolarmente, come dimostra una classifica dei santi pià popolari, che vede in pole position, Padre Pio con il 31%, seguito da Sant’Antonio con il 25%, dalla Madonna con il 9% e staccatissimo San Francescco con un misero 7%.
Nel periodo precendente alla sua conversione, fu un giovane che visse nel peccato, prevedibile, in un giovanotto provvisto di denaro, ma con una nota costante di riservatezza e cortesia che lo facevano già diverso dagli altri, forse un preludio a quello che sarebbe in seguito diventato. Nasce in una famiglia agiata, il padre è un mercante di stoffe che aveva fiorenti traffici con la Provenza e che lo chiama Francesco, contro il desiderio materno, perchè vuole stabilire già nel nome un rapporto con la Francia. Partecipa alla guerra tra Perugia e Assisi, guelfi e ghibellini. Prigioniero, ne esce dopo un anno, riscattato dal padre. Non è più il ragazzo bellicoso partito per fare a guerra ai perugini. È profondamente cambiato. Torna povero, si ritira in solitudine. Deriso e preso per pazzo. Non risponde ad un modello prestabilito, rifiuta tutto e rinasce come monaco, sotto una disciplina feroce. Fonda il suo ordine ma la sua regola viene solo parzialmente accettata dal Papa che si rende conto che tale una tale severità è in netto contrasto con le abitudini della Chiesa. Francesco sfiorò l’eresia.
Un racconto di vita umile e povero come si inserisce nell’attuale Chiesa, lasciata in eredità da uno studioso, un teologo, un uomo di preghiera?Nessuno può prevederlo.
Certo che questo Francesco ha lavorato in mezzo alla gente. Viaggia in bus, vive in modo spartano, non ama gli sprechi, si concede ben poco. In questi giorni a Roma soggiornava nella curia dei Gesuiti a Borgo Santo Spirito e si presentava ogni mattina con un basco nero in testa, senza auto né autista, camminando lentamente, sempre gentile con chi lo riconosceva. Fedele al suo spirito ha scelto un nome speciale, carico di simbolismo. Ha preso il nome di un rivoluzionario, un estremista che aveva chiaro il limite dove voleva arrivare. Ha scelto un nome importante e già questo può anticipare molte delle cose che intende portare avanti con il suo pontificato. Lo aspetta un compito immane a cominciare dalla riforma della curia romana che Ratzinger non si è sentito di completare. Speriamo bene.