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FRANCO BIFO BERARDI – Il ruolo degli artisti al tempo della dittatura finanziaria

Creato il 25 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da Giovanni Nuscis su maggio 25, 2012

DA MICROMEGA

“Perché i poeti nel tempo della povertà?” chiede Holderlin nel suo poema “Pane e vino”. E commentando questo verso, Heidegger dice: “Forse siamo nel momento in cui il mondo va verso la sua mezzanotte”.

In nome del vuoto

Il 5 maggio un gruppo di artisti, architetti, insegnanti e studenti e lavoratori precari della scuola e della comunicazione hanno occupato un edificio chiamato Torre Galfa e l’hanno rinominato Macao. L’edificio è un grattacielo di trentacinque piani, abbandonato da quindici anni.

Dieci giorni dopo l’occupazione, mentre il corpo gigantesco del precariato cognitivo milanese cominciava a stiracchiare le sue membra e a sintonizzarsi con la torre, sono entrati in azione gli esecutori del piano di sterminio finanziario. Il proprietario, noto alle cronache giudiziarie come corrotto e corruttore, ha deciso che quel posto è suo e deve rimanere com’è: vuoto. Tutto deve essere vuoto nella città, perché il capitalismo finanziario ha bisogno di distruggere ogni segno di vita. Le risorse materiali e intellettuali vengono progressivamente inghiottite, annullate, perché i predatori possano espandere la loro insensata ricchezza.

Per la prima volta, occupando la Torre, il movimento è uscito dalla sfera dell’underground e si è proiettato verso l’alto. Non è un movimento di talpe, ma di sperimentatori. Le talpe ora debbono venire fuori, debbono occupare ogni spazio, e contenderlo all’organizzazione di morte che si chiama Banca Centrale Europea.

Artisti che vuol dire?

Perché gli artisti occupano spazi vuoti per restituirli alla collettività? Perché l’arte sembra tanto interessata a farsi attivismo proprio mentre il mercato invade lo spazio dell’arte e riduce l’attività degli artisti a lavoro astratto privo di significato?

Perché le istituzioni d’arte vive (non certo quelle italiane, che sono tutte morte, ma musei come il Vanabbe di Eindhoven o il Macba di Barcellona e cento altri simili istituti europei) sono così impegnate nella lotta contro il capitalismo finanziario? Perché La Biennale di Berlino è totalmente dedicata all’artivismo? Perché dOKUMENTA(13) diviene un laboratorio di ricerca e sperimentazione nell’arte dell’esodo e dell’abbandono dell’agonizzante capitalismo finanziario?

Un tempo la relazione tra arte e società era fondata sull’impegno. L’intellettuale e l’artista venivano fuori dalla loro sfera di isolamento dorato e aprivano le finestre al mondo e cominciavano a parlare con coloro che vivono nel mondo reale, nelle fabbriche e così via.

Ma adesso non si tratta di impegno: nella sfera del semiocapitale gli artisti sono direttamente coinvolti nel processo di semio-produzione, e la dittatura finanziaria taglia le risorse per la cultura e l’educazione.

L’effetto dei tagli è l’aumento dell’ignoranza, della brutalità dell’insensibilità.

Principi sauditi, mafiosi russi e predatori finanziari investono miliardi su Munch e su Matisse, il mercato dell’arte è invaso da soldi di provenienza criminale, ma gli artisti viventi sono impoveriti e precari, e il sistema della cultura e dell’educazione è ridotto alla fame.

Precarietà

L’arte è stata il luogo in cui la precarietà della vita del lavoro e del linguaggio è stata sperimentata come condizioni ambigua, povera e ricca, potenziale di liberazione e di miseria. La sussunzione del lavoro mentale nel ciclo di valorizzazione capitalista dà una nuova dimensione all’attività degli artisti nella sfera sociale: gli artisti sono lavoratori cognitivi la cui attività è soggetta a regole di sfruttamento ma al tempo stesso esprimono un rifiuto permanente della schiavitù capitalista.

Il XX secolo è stato l’epoca della perdita del centro, per dirla con Hans Sedlmayr: Ma è stato anche l’epoca dell’incertezza nel senso di Heisenberg. Il passaggio dalla produzione industriale all’epoca presente del semiocapitale sta nella dissoluzione della misura, della possibilità di stabilire una centralità, un ordine, un territorio.

Gli artisti non hanno bisogno di aprire le finestre per collegarsi con il mondo della produzione dello sfruttamento e della rivolta. Sono lavoratori, il loro lavoro è sfruttato, e cercano la strada della rivolta.

La precarietà è la condizione del lavoro nelle condizioni della valorizzazione globalizzata, e gli artisti sono i portatori della precarietà: portano precarietà nel loro stile di vita nella loro lotta quotidiana per la sopravvivenza e nella dissoluzione dell’identità.

Disidentità

La questione dell’identità è un altro approccio al presente della ricerca artistica.

A causa del processo di precarietà e deterritorializzazione la ricerca di identità tende a farsi aggressiva. La relazione tra tempo e valore diviene incerta e la relazione tra appartenenza e linguaggio è scossa: una gigantesca deterritorializzazione è in corso, e si cerca disperatamente di aggrapparsi a qualche tipo di appartenenza: identità nazionale, religiosa, etnica ritornano per alimentare qualche nuova forma di fascismo.

Fascismo è quando si nasconde una macchina da guerra in ogni nicchia. E la competizione neoliberale è il migliore incubatore del fascismo.

Quello che chiamano arte è in effetti un esercizio verso la disidentificazione. L’arte è un modo per sospendere il bisogno di appartenenza, un atto altamente terapeutico dal momento che divenire altro è la relazione generale con il territorio la comunità e la sfera sociale. Coloro che si autodefiniscono artisti stanno in effetti creando l’Ultima internazionale: l’internazionale di coloro che non sono identificabili, che non appartengono a nessuna patria, a nessuna religione a nessuna etnia a nessuna professione.

Terapia

Durante il decennio passato gli artisti più interessanti sono quelli che hanno avuto a che fare con la fenomenologia della sofferenza mentale: Lisa Athila nella video art, Jonathan Franzen nella letteratura, Melinda July, Gus Van Sant e Kim Ki Duk nel cinema hanno saputo esprimere il corpo sociale frammentato e la percezione frenetica del tempo precario.

Ora l’arte comincia a fondersi con l’atto terapeutico della riattivazione della sensibilità.

Il semiocapitalismo, sfruttamento continuo delle energie nervose, produce una sorta di epidemia depressivo-panica nella mente sociale. La sensibilità è particolarmente colpita dall’accelerazione del ritmo del lavoro mentale, e dallo stress dell’attenzione. Competizione e depressione distruggono le premesse della solidarietà sociale.

Gli artisti hanno cominciato a ricostituire le condizioni per la solidarietà sociale che non è un valore etico né un programma politico, ma è piacere estetico empatico della presenza dell’altro.

La dittatura finanziaria è fondata sulla standardizzazione della politica. L’interazione della vita quotidiana è ingabbiata da automatismi: la competizione pervade lo spazio sociale e l’empatia è cancellata.

La sensibilità è la facoltà di comprendere quel che non può essere detto in parole, ed è una facoltà cruciale perché l’esistenza umana sia umana. L’empatia è legata alla sensibilità e senza empatia la solidarietà scompare e la relazione sociale diviene brutale, aggressiva, barbarica.

L’accelerazione dell’Infosfera e l’esaltazione della competizione, caratteri essenziali della dittatura neoliberale, hanno distrutto la facoltà della sensibilità. Restaurarla e reinventare questa facoltà è un compito degli psicoterapeuti e degli attivisti, ma è soprattutto un compito per gli artisti.

Attese

In aprile, invitato da un gruppo di attivisti e di artisti sono stato invitato a tenere un discorso al Museo di arte contemporanea di Bucarest.

Quando sono entrato nello spazio in cui si era riunita una piccola folla ho visto tre parole scritte sul muro: Give up hope. I ragazzi che mi avevano invitato mi spiegarono: siamo passati attraverso due diversi incubi, quello del comunismo totalitario e quello della dittatura capitalista. Secondo un recente sondaggio il 58% dei romeni ha nostalgia di Ceausescu. Nostalgia di Ceausescu? Incredibile, ma vero. Ecco cosa può produrre il capitalismo finanziario. Perché dovremmo sperare ancora?

L’ironia distopica (dist-irony) è il linguaggio di coloro che capiscono senza cinismo che la promessa della modernità è stata devastata dall’identificazione di modernità e dogma capitalista. La distopia è l’immaginazione attuale del futuro, e l’ironia è la distanza retorica dal discorso ipocrita del potere che si fonda su concetti falsi: austerità, ripresa, crescita.

L’austerità è un effetto della dittatura finanziaria, l’imposizione di un piano di riduzione del salario e della spesa sociale in favore della classe predatoria della finanza. La ripresa è la parola illusoria che si riferisce a una futura nuova epoca della crescita.

La crescita capitalistica non è possibile nel futuro d’Europa per due ragioni: le energie fisiche del pianeta sono in via di esaurimento, e non abbiamo più bisogno di aumentare il consumo. Non abbiamo bisogno di più lavoro, ma di una diversa distribuzione dei beni già prodotti, e di un diverso uso della potenza conoscitiva e creativa.

La crisi attuale non è solo un effetto della predazione finanziaria, ma anche dell’esplosione della bolla del lavoro. Grazie alla tecnologia la società europea ha bisogno di sempre meno tempo di lavoro. Il culto dogmatico della competizione trasforma questa ricchezza in una miseria, e costringe alla disoccupazione invece che ridurre il tempo di lavoro generale.

“Lascia perdere la speranza” è una provocazione dist-ironica che significa: non credere nelle promesse del potere, il capitalismo sta agonizzando, se non modifichiamo le attese di mondo che il capitalismo ha prodotto finiremo per cadere nella depressione e nel fascismo. Non attendere un futuro di espansione economica, pensa un futuro di redistribuzione egualitaria dei beni disponibili e di espansione dell’area della coscienza.

Franco Bifo Berardi

(19 maggio 2012)


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