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Franco marini, candidatura nata per dividere

Creato il 19 aprile 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 

 

 

di Matteo Boldrini

Un presidente nato per dividere?

La candidatura di Franco Marini alla carica di capo dello Stato, indubbiamente gradita al Cavaliere e al centrodestra, e fatta per “unire” e allargare il più possibile la base di elezione di una figura da sempre connotata da una forte aura di rappresentanza nazionale, sembra essere saltata dopo le prime due fumate nere.

Un nome nato per dividere. Marini è un vecchio democristiano ma di area sociale, già segretario della CISL, Ministro del Lavoro e poi Presidente del Senato nella breve esperienza della legislatura 2006-2008. Una figura con trascorsi politici eccellenti ed in grado di avvicinare le due forze politiche. Le dinamiche erano già palesi nei giorni scorsi, quindi non si aggiunge niente di nuovo al dibattito in corso. L’elezione di un esponente gradito a Berlusconi avrebbe dovuto in teoria essere l’anticamera di un’apertura ad un governo di grossa coalizione Pd-Pdl, con qualche spruzzo di montiani e centristi vari. E sulla carta questo doveva essere un gesto di grande responsabilità per il centrosinistra.

Franco Marini - fanpage.it

Franco Marini – fanpage.it

Ma la figura di Marini non ha messo certamente d’accordo tutti. I primi oppositori sono stati i grillini, che dopo le cosiddette “quirinarie” hanno individuato (al terzo tentativo, dopo i no della Gabbanelli e di Gino Strada) il loro candidato in Stefano Rodotà, insigne giurista già deputato del Pds ma inviso al centrodestra perché giudicato estremista. Grillo ha spinto per far convergere i voti del Pd su questo candidato, promettendo con malcelata dissimulazione aperture del suo partito ad un governo di centrosinistra o comunque una posizione più benevola verso di esso. E certamente il gruppo grillino non ha fatto nessuna apertura a Franco Marini, proprio perché in contrapposizione con il suo candidato e perché, come già detto altre volte, in fondo in fondo l’ipotesi di un governo Pd-Pdl non gli dispiace. E poi c’è Nichi Vendola e la sua pattuglia di parlamentari. I vendoliani si sono subito schierati contro la possibilità di un governo di larghe intese, cosa fino ad un certo punto ovvia. Con 35 deputati ed una posizione all’ala dello schieramento politico qual è il suo incentivo a partecipare ad un governo di “centro esteso” con più di 400 deputati? Meglio restarne fuori e tentare di catturare gli elettori in uscita. Quindi è normale che abbiano dichiarato il proprio voto contrario a Franco Marini. Non ha sorpreso neanche la posizione favorevole a Rodotà. Da tempo Vendola insiste nel cercare di coinvolgere e di responsabilizzare i parlamentari di Grillo, e la posizione favorevole espressa verso il giurista può essere letta come un tentativo del Presidente di Sel di avvicinarsi a quel gruppo parlamentare. Marini viene di fatto a spaccare l’alleanza di centro sinistra che si era costituita per le scorse elezioni, che sembrava poter diventare anche qualcosa di più. Anche dentro lo stesso Partito Democratico c’è chi dissente. Il no più eccellente è stato senza dubbio quello di Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze ha dichiarato con fermezza il voto contrario dei suoi ad un’ipotesi Franco Marini, mettendo in seria difficoltà il partito.

Viene dunque da chiedersi se la scelta di Marini sia stata davvero una scelta che unisce. Lasciando da parte i grillini, la candidatura dell’ex segretario della Cisl ha portato scompiglio nell’intero centrosinistra, rompendo l’alleanza con Sel oltre che frammentando lo stesso partito democratico. Se da una parte si verifica una rottura dell’alleanza con Vendola, alleanza nonostante tutto salda, dall’altra si evidenziano ancora le numerose crepe all’interno del Partito Democratico, crepe che nuovamente danno forza e risalto alla figura di Renzi, il quale sembra basare tutte le sue fortune sugli errori del gruppo dirigente del Pd. E tutto questo soltanto per stringere un’asse con Berlusconi ed il centrodestra, per formare questo famigerato governo di larghe intese, una scelta che oltre a suscitare forti dubbi all’interno dello stesso elettorato democratico, contribuirebbe a rilanciare la figura del Cavaliere, con il paradosso estremo che per raggiungere il centrodestra si finirebbe per distruggere il centrosinistra.

Resta comunque vero che, per superare la situazione di stallo, o si riesce a formare un esecutivo o si ritorna al voto, e una figura di rilievo potrebbe sbloccare la situazione in favore di un governo di larghe intese. E come già detto per Bersani, sconfitto ma vincitore alle scorse elezioni, la grande coalizione rappresenterebbe il massimo della responsabilità, sacrificando il volere della sua base in nome della governabilità.

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