Un bambino che di notte si lagna pur di richiamare l'attenzione dei suoi, un ballatoio davanti a una porta chiusa come luogo punitivo per antonomasia. Un bambino che già allora, investito dall'ombra ingombrante e autoritaria di un padre, si sforzava di comprendere il mondo, di decifrare il senso di un disagio tanto grande da non ammettere risposte. Solo domande.
Un bambino destinato a diventare uno degli autori più importanti del XX secolo. E ci riuscì attraverso l'amore e l'odio nei confronti di quel disagio che il mondo gli imponeva. Imparando a conviverci, seppur nel pieno turbamento, nell'angoscia di un'esistenza sfuggevole ma strettamente connessa a un'esigenza di comprensione.
Fosse stato per lui, per Franz Kafka, di tutto ciò che egli scrisse, oggi non avremmo nulla. Nei racconti, nei romanzi e nelle sue numerose lettere, torna l'angoscia legata alla propria esistenza e, nel caso specifico di Lettera al padre, quella che meglio di ogni altra rappresenti il disagio nel rapporto padre-figlio. Eppure Kafka commissionò al suo amico Max Brod, di bruciare tutti i suoi manoscritti, tutto ciò che avesse scritto. Morto prematuramente a causa della tubercolosi (1883-1924), Kafka, all'età di trentasei anni sente il bisogno di affrontare la sua frustrazione e il suo senso di inferiorità, dalle quali seguirono poi tutte le insicurezze di un uomo ancora così legato al passato.
Nel 1919, una lettera si rivolge con pacata disperazione e franchezza, alle spalle "grandi" di un uomo, Hermann Kafka. Da dentro fuoriesce l'inconfessato dolore di un piccolo uomo turbato e dilaniato da un senso di colpa, che avrebbe dovuto essere unicamente del padre; di colui per il quale, distrattamente o per scelta, educare significava per forza di cose incutere terrore.
" Dei primi anni ricordo bene solo un episodio. Forse anche tu lo ricordi. Una notte piagnucolavo incessantemente per avere dell'acqua, certo non a causa della sete, ma in parte probabilmente per infastidire, in parte per divertirmi. Visto che alcune pesanti minacce non erano servite, mi sollevasti dal letto, mi portasti sul ballatoio e mi lasciasti là per un poco da solo, davanti alla porta chiusa, in camiciola. Non voglio dire che non fosse giusto, forse quella volta non c'era davvero altro mezzo per ristabilire la pace notturna, voglio soltanto descrivere i tuoi metodi educativi e l'effetto che ebbero su di me".
L'incredibile sta nel riuscire a narrare sensazioni veramente sottili, farlo come se fosse del tutto naturale. La letteratura, dai tempi dei tempi fino ad oggi, può vantare un ricco bagaglio epistolario, un po' tutti i grandi scrittori si sono cimentati nelle, più o meno lunghe, corrispondenze di svariato genere. Da Foscolo a Goethe, non si può negare che la scrittura epistolare abbia un certo fascino. La caratteristica regina della lettera, credo risieda nella possibilità più intima che si offre a chi scrive, di poter riflettere a voce bassa e con sé stessi. C'è chi vorrebbe e non può, perché la scrittura di cui dispone non glielo permette. C'è chi ci prova tutti i giorni, con esiti a volte fortunati, a volte no.
E c'è una strada che porta dritta dritta alla perfezione più letterale e letteraria possibile. C'è il cuore pulsante di un'intera poetica e visione del mondo, un grido strozzato dall'insicurezza che trova come unica via d'uscita la Letteratura.
La vita e la Letteratura, un connubio destinato a giocare non pochi scherzi alle spalle dell'uomo.
Una lettera mai arrivata a destinazione, tutte quelle domande rimaste chiuse in un cassetto...
"[...] la vita è più che un gioco di pazienza; ma con la correzione che deriva da questa impostazione, correzione che né posso né voglio sviluppare ancora nei dettagli, si è secondo me raggiunto un qualcosa di così vicino alla verità che un pochettino può tranquillizzarci entrambi e renderci più facile il vivere e il morire".
La lettera al padre di Franz Kafka fu scritta nel 1919 e pubblicata postuma nel 1952.
Non venne mai consegnata al destinatario.