Fratelli mitici, fratelli numerosi, fratelli figli unici … sorelle vergini suicide, sorelle dal cuore elastico, sorelle da proteggere… Visconti, Woody Allen, Sam Raimi, Coppola padre e Coppola figlia. Alain Delon e Mickey Rourke, Ricardo Scamarcio e Tom Cruise…Valeria Golino e Kirsten Dunst, Mia Farrow e Giovanna Mezzogiorno… gli 11 potentissimi film de chevet su fratelli e sorelle.
Film de chevet
Chevet in francese significa più o meno comodino. Le livre de chevet si tiene sul comodino per sfogliarlo, rileggerlo, accarezzarlo. Come i libri, i film de chevet si amano, si guardano, si sfogliano, si accarezzano, si portano sempre con sé.
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I film de chevet da Oscar
I film de chevet sulla crisi
Dopo la festa del papà con gli Undici film de chevet figli di papà e in attesa di quella della mamma con gli Undici film de chevet belli a mamma sua ecco Undici imperdibili film che parlano di fratelli e sorelle.
Le vite dei fratelli (e delle sorelle) spesso divergono, i caratteri sono agli antipodi, si prendono strade diverse, ci si allontana, ma il legame resterà sempre indissolubile. Il cinema ha spesso tratto di questo rapporto strettissimo e dalle dinamiche a volte lineari a volte complesse. Noi abbiamo dovuto scegliere 11 film. Più un bonus per tirarsi su il morale. Più la necessaria segnalazione di un film di cui avevamo già parlato: Una storia vera di David Lynch [Leggi la recensione completa].
“Nessuno conosce meglio la tua vita di un fratello che ha quasi la tua età, sa chi sei e cosa sei meglio di chiunque altro. Un fratello, è un fratello” quindi alla fine i rapporti tra fratelli non possono che finire come quello tra i protagonisti del film di Lynch, Alvin e Lyle Straight. Probabilmente anche tra Caino e Abele sarebbe potuta andare così, se solo quella sera Caino avesse contato fino a dieci, ma non è che si possa sempre contare fino a 10, soprattutto se si tratta di tuo fratello (Spoiler: il video è il finale del film Una storia vera di David Lynch).
“Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti, 1960 Con Claudia Cardinale, Alain Delon, Annie Girardot, Renato Salvatori, Claudia Mori
“Rocco è nu’ sante, ma nel mondo che può fare? Uno come lui, che non si vuole difendere. Lui perdona sempre a tutti quanti, e invece non sempre bisogna perdonare.”
L’amore, la rivalità, l’odio e la distruzione tra fratelli. Cinque fratelli lucani emigrano a Milano insieme alla madre vedova e vengono travolti da una vita diversa e nuova, che cambia velocemente e li costringe a scegliere tra un rischioso e faticoso adattamento a valori e abitudini sconosciuti e la fedeltà alla propria cultura e alla tradizione, rappresentata dalla famiglia come luogo in cui tutto si compie e si sublima. Rocco cerca di adattarsi, ma nel suo cambiamento non rinuncia a mantenere al centro della propria vita la famiglia: sacrifica il proprio amore per il fratello Simone, che invece affoga nelle tentazioni della vita di città. Simone soccombe, Rocco si salva nel dolore, gli altri fratelli cercano un compromesso. Perfetto melodramma viscon tiano che affresca intorno a questa famiglia il racconto dell’emigrazione meridionale nel nord industriale, nell’Italia postbellica in corsa verso il benessere.
Da guardare a bordo di un Palermo-Torino avvinghiati a un caciocavallo.
” La carica dei 101″ [tit. orig. One Hundred and One Dalmatians] - Walt Disney, 1961
“Non puoi certo mantenerli, riuscite a malapena a sfamarvi voialtri”
101! Si può immaginare un numero più grande di fratelli? Il problema sta proprio lì. Infatti quasi nessuno ricorda che i fratellini dalmata non sono 101, ma ‘solo’ 15. Ma 15 è di gran lunga un numero di fratelli sufficiente per perdere la propria personalità, per essere semplicemente un membro del gruppo. Ognuno deve fare la sua parte, altrimenti finisce male. Conta la famiglia e il singolo scompare. Di questi cuccioli non ricordiamo neanche il nome. Ce n’è uno più grassoccio, uno più fifone, uno che fa battute: si distinguono per come manifestano le proprie psicosi derivate dalla repressione della personalità. Non è un caso che la vera protagonista del film sia Crudelia Demon, uno dei migliori cattivi della storia del cinema di animazione (e non solo).
Da vedere insieme a tantissime persone. Fermare il film ogni 5 minuti e ripetere in coro il nome di ognuno
Rusty il selvaggio [tit. orig. Rumble fish] di Francis Ford Coppola, 1983. Con Mickey Rourke, Matt Dillon, Dennis Hopper, Nicolas Cage, Diane Lane, Diana Scardwid, Vincent Spano, Tom Waits, Laurence Fishburne, Chris Penn
“Nonostante quello che pensa qualcuno tuo fratello non è matto. Ha sbagliato parte e commedia, è nato nell’epoca sbagliata, sulla sponda sbagliata del fiume. Con la capacita di poter fare tutto quello che vuole, non trovando niente che vuol fare, proprio niente.”
A volte capita che il fratello (di solito il minore) viva nel mito del più grande. E così Rusty James (un Matt Dillon adolescente, icona del giovane ribelle anni ottanta) si ispira a Motorcylce Boy (Micky Rourke, altra icona di quegli anni) che è una leggenda nella non certo imprescindibile comunità di Tulsa: al tempo delle bande era il re, ma ora è ritornato mestamente dalla California perché anche nella terra del mito non c’è posto per lui. Il più grande sa già che la sua volontà di non lasciarsi omologare, di non accettare le convenzioni sociali non può che portarlo alla sconfitta. Se il mito della libertà è annegato dal padre nell’alcool o in una vasca di pesci da combattimento (i rumble fish del titolo originale) dal fratello più grande, saprà il giovane Rusty sfuggire al’inevitabile sconfitta?
Il film è raccontato dal punto di vista di Rusty, ma lo vediamo con gli occhi di Motorcycle Boy che dopo il colpo subito in una rissa non può vedere i colori: nuvole in viaggio, orologi senza lancette, bianco e nero dai contrasti eccessivi e piccoli pesci colorati ci trasmettono una commovente malinconia e un senso di inadeguatezza nei confronti del mondo che ci respinge. Ma per farcelo capire il nostro fratellone dovrà sacrificarci per noi.
Da guardare con uno dei nostri miti, purché si sacrifichi per noi
Hannah e le sue sorelle [tit. orig. Hannah and her sisters] di Woody Allen, 1986 Con Barbara Hershey, Michael Caine, Mia Farrow, Woody Allen, Dianne Wiest, Carrie Fisher, Max von Sydow
“Ho sempre capito quello che pensavi di me dal tipo di uomini che mi hai proposto!”
Hannah è brava, bella, madre, attrice di successo, ha persino un buon marito, e le sue sorelle Lee e Holly sono due poveracce. Lee vive da infelice inconcludente con un anziano artista, antipatico e tristissimo; Holly è una ex tossica attrice di nessun successo, che si arrabatta tra lavoretti e una vita sentimentale fallimentare. Tra sorelle newyorkesi ci si vede a pranzo fuori e per il Ringraziamento, con i genitori, i figli, i mariti e gli ex: ci si aiuta, ci si parla addosso, ci si ferisce di sincerità e bugie, come tra sorelle in tutto il mondo. Qualcuna si innamora del marito di qualcun’altra ma, se l’altra non lo scopre, è come se non fosse successo. Qualcuna si innamora dell’ex marito di qualcun’altra, ma questo va benissimo: la vita quotidiana è così meschina, gli affetti così precari che solo grazie a qualche piccola (e grande) bugia e a parecchie limature della sua scabra superficie riusciamo a renderla appena sopportabile. Attenti al cuore: è un muscolo pericolosamente elastico.
Da vedere con l’ex marito ipocondriaco di vostra sorella. O con la sorella ex tossica di vostra moglie. O con la madre alcolista di vostro cognato. O con lo zio fesso del vostro vicino. O con il vicino di vostro zio. O…
“Rain Man – L’uomo della pioggia” di Barry Levinson, 1988. Con Tom Cruise, Dustin Hoffman, Valeria Golino
“Da piccolo veniva l’uomo della pioggia, il buffo Rain Man, a cantare per me. [...] Uno di quegli amici immaginari che aiutano i bambini a crescere.” “E che fine ha fatto?” “Niente, ormai son cresciuto.”
Fratelli acquisiti, fratelli sconosciuti, fratelli che ereditano al posto tuo … esiste una parola per definirli che restituisce perfettamente il sentimento che si prova per loro: fratellastri. Qui poi è il colmo: il fratellastro lontano di cui ignoravi l’esistenza eredita la fortuna da papà ed è anche un “ritardato” che non si rende conto del valore del denaro. Ma forse era proprio di questo che aveva bisogno un tipico yuppie degli anni ottanta come Tom Cruise: di un Dustin Hoffman autistico che vuole volare solo Quantas e indossare le sue mutande di K-mart, ma che sa contare gli stuzzicadenti in una scatola e le carte di un mazzo al casinò. Perché preoccuparsi delle piccole follie di un altro e occuparsi di una persona “impegnativa” (fosse anche tuo fratello) aiuta a distogliere l’attenzione da sé stessi e a conoscersi meglio. Poco importa se l’eredità andrà al fratellastro, tanto negli anni ottanta 3 milioni di dollari si facevano in una settimana.
Da vedere con una persona che nemmeno credevi esistesse. Poi ripetere insieme fino allo sfinimento “Chi gioca in prima base”
“Lupo solitario” [tit. orig. The Indian runner] di Sean Penn, 1991. Con Viggo Mortensen, David Morse,Charles Bronson, Valeria Golino, Dennis Hopper, Patricia Arquette, Sean Penn, Benicio Del Toro
“Me and Franky laughin’ and drinkin’ nothin’ feels better than blood on blood Takin’ turns dancin’ with Maria as the band played “Night of the Johnstown Flood” I catch him when he’s strayin’ like any brother would Man turns his back on his family well he just ain’t no good” da Highway patrolman di Bruce Springsteen
Uno dei rari casi di film tratti da una canzone. La canzone è “Highway patrolman” di Bruce Springsteen di cui Sean Penn è grande amico oltre che ammiratore. E’ la storia di Joe e Franky Roberts, che rappresentano due fratelli tipici: Joe è il figlio “bravo” che rispetta le regole, che fa quello che si aspetta da lui, che diventa lo sceriffo della contea. Franky su questo terreno non può competere e allora va dritto per la sua strada che però conduce inevitabilmente nella direzione opposta. Il ritorno di Franky da figliol prodigo non troverà un padre che uccide il vitello grasso, ma Joe che si farà in quattro perché il fratello possa riprendere la retta via. La storia ci insegna come (non) finì la corsa…
Sean Penn riesce a rendere in maniera efficace lo spirito della canzone cui si ispira e regala un film duro e malinconico. Grandissimi gli attori e non è un caso che nel cinema come nella vita quello che lascia il segno (il Franky di Viggo Mortensen) sia quello che sta dalla parte sbagliata.
Da vedere bevendo whiskey (ma non esagerate) insieme ad una persona che sta dalla parte sbagliata
“Soldi sporchi” [tit. Orig. A simple plan] di Sam Raimi, 1998. Con Bill Paxton, Bridget Fonda, Billy Bob Thornton.
“Non abbiamo niente in comune io e lui tranne, forse, il cognome”
Può l’autore della saga La casa e di quella diSpiderman fare un film come questo? Sam Raimi ci regala la sua opera più realistica, talmente reale da fare a pezzi qualsiasi speranza. Un colpo davvero duro, ma nel mondo reale non ci sono supereroi o libri sumeri a risolvere la situazione.
Ne è passato del tempo, ma Caino e Abele in qualche modo sono ancora qui. Caino, come il buon Dio ha ordinato a suo padre, lavora duro per portare a casa il pane. Abele ha preso talmente alla lettera il fatto di dover essere buono da diventare è un buono a nulla, un ritardato. Nella gelida provincia americana non ci sono particolari motivi per essere felici.
I due fratelli e un amico trovano dei soldi. Tanti soldi. Può essere la svolta. Il piano è semplice: tenersi i soldi. Ma il denaro, si sa, è lo sterco del demonio o anche solamente la somma destinata al riscatto di un rapimento. Per la moglie di Caino, novella Lady Machbeth, è questo il sogno americano: non dover riciclare abiti per la figlia o andare al ristorante senza preoccuparsi del prezzo delle pietanze. Un sogno davvero minimal ma il fratello scemo ci avverte che “trovare soldi non è il sogno americano, perché per il sogno americano bisogna lavorare, bisogna guadagnarselo”. La storia ci insegna che quello che da’ la direzione sarà Caino. Abele si rassegni, in fondo lui è stato il primo ad avere imparato a caro prezzo che discendiamo tutti da Caino.
Da vedere quando capita, tanto fare un piano, per quanto semplice, non aiuterà
“Il giardino delle vergini suicide” [tit. orig. The Virgin Suicides] di Sofia Coppola, 1999. Con James Woods, Kathleen Turner, Danny DeVito, Kirsten Dunst, Josh Hartnett.
“La sola cosa che contava è che le avevamo amate, e che non ci hanno sentito chiamarle, e ancora non ci sentono che le chiamiamo perché escano dalle loro stanze, dove sono entrate per restare sole per sempre e dove non troveremo mai i pezzi per rimetterle insieme.”
La vita non è facile per le cinque sorelle Lisbon. Nessuno le sente, nessuno le capisce, nessuno le raggiunge. Cinque belle adolescenti bionde, Therese, Mary, Bonnie, Lux e Cecilia, e un loro mondo in cui non si può e non si riesce a entrare: sorelle in un abbraccio di sorellanza davvero mortale. Non è soltanto colpa del padre invisibile e della madre bacchettona che le tiene prigioniere. Il mondo esterno non è preparato per le sorelle Lisbon: gli anni Settanta stanno costringendo la borghesia americana a ridiscutere le proprie regole e i propri miti, ma le sorelle Lisbon sono ancora accerchiate da persone incapaci di pensare e comprendere la diversità. Impossibile persino amarle, concesso soltanto ammirare il loro mistero e vivere nel loro ricordo.
Da vedere d’estate, a finestre spalancate, annotando orari e abitudini dei figli dei vicini.
“La bestia nel cuore” di Cristina Comencini,2005. Con Giovanna Mezzogiorno, Alessio Boni, Stefania Rocca, Angela Finocchiaro, Giuseppe Battiston
“La vita, quello che pensavamo ci avessero tolto, possiamo riprendercelo. Anche se per farlo abbiamo dovuto cancellare per sempre il ricordo dei bambini che eravamo.”
Avendo un fratello più grande, quando ti rubano le biglie, le figu, le scarpine della Barbie (sì, quelle lì mezzo tacco rosa con una specie di protuberanza a pon pon sul davanti), ci si inalbera e si sbraita “mo’ chiamo (a) mio fratello che ti fa vedere lui! / che ti pesta! / che ti sistema! / che te strappa le braccine e te ce mena!” Perché il fratello maggiore maschio, in genere, odia la sorella femmina – quella cretina, lei e le sue amiche stupide e pure racchie – ma la difende e la protegge, o almeno ci prova. La storia de “La bestia nel cuore” è tutta qui: un fratello maggiore che protegge la sua sorellina. Certo, la minaccia che grava sulla bimba, e accomuna i due fratelli, è parecchio più mostruosa di un furto di giocattoli; è tanto orrenda che lei nella sua innocenza di bimba la nasconde per tanti anni in fondo al suo cuore. Come lui, che la raggela in un bozzolo di dolore, e costruisce la propria vita sul dovere del segreto. Finché, come sempre tra fratelli, arriva il momento di dirsi tutto.
Da vedere dopo averne cantate quattro a fratelli e cugini che vi fregavano le figu.
“Mio fratello è figlio unico” di Daniele Luchetti,2007. Con Elio Germano, Riccardo Scamarcio
“Ma nun te so’ bastate tutte le mazzate che t’ho dato?”
Un fratello comunista e uno fascista. Uno bello e uno molto meno bello. Uno che piace alle donne e fa politica dalla parte giusta, e uno sfigatello, che ha l’amante tardona sposata, moglie dell’amico nostalgico del Duce. (I fratelli sarebbero biologicamente destinati alla parità e per questo facilmente si sentono impari). Famiglia umile, di lavoratori, in cui volano gli sganassoni e anche quando si dà il massimo si è sempre fatta soltanto la metà del proprio dovere. Tra gli anni Sessanta e i Settanta, nella profonda provincia italiana, la storia tra personale e politico delle gioie e dei dolori di due fratelli diversissimi e legatissimi: fratelli che si parlano a spintoni e urla, non si capiscono quasi mai, si amano con poche incazzose condizioni.
Da guardare avvolti nella bandiera rossa insieme a un busto di Mussolini.
“The Fighter” di David O. Russell, 2010. Con Mark Wahlberg, Christian Bale
“Lui è il mio fratellino. Gli ho insegnato tutto io. Io ancora lo alleno.”
Micky fa il pugile, sua madre è la sua manager, il suo fratellastro Dicky, ex pugile a sua volta e ora tossico, è il suo allenatore. Dicky, la madre manager e il resto della famiglia campano con i soldi degli incontri di Micky. Quindi Micky deve combattere, anche sapendo che perderà e sarà massacrato; perché sente la responsabilità verso la famiglia e verso Dicky, che gli ha insegnato a combattere, ed è suo fratello. Potrebbe andare avanti così per sempre. Invece Micky si innamora e una volta ne prende un po’ troppe, e si stanca. L’equilibrio si rompe, gli eventi precipitano, i fratelli si perdono. Per un po’, soltanto. Perché tra fratelli, se ci si vuole bene, ci si ritrova, anche solo per ricominciare a sbagliare, a sopportarsi, a litigare: lui è il mio fratellino bravo, lui è il mio fratellone disgraziato. (che sia una storia vera si vede dai nomi, perché dai, solo a un insensato verrebbe in mente di scegliere Micky e Dicky come nomi per dei personaggi inventati seri, dai, davvero, ma che roba è?).
Da guardare indossando i guantoni
Bonus film:
Siccome fino a qui non c’è stato un granché da ridere vi consigliamo l’imperdibile bonus anche se siamo sicuri che questo film ha già un posto privilegiato sul vostro chevet
“The Blues Brothers” di John Landis, 1980. con John Belushi, Dan Aykroyd, Ray Charles, John Lee Hooker, Aretha Franklyn, James Brown …
“Sono 126 miglia per Chicago. Abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio, e portiamo tutt’e due gli occhiali da sole”
Quando due fratelli si mettono in testa di aiutare la loro mamma non li ferma nessuno, non importa se la mamma è un orfanotrofio. Jake ed Elwood non sono fratelli di sangue, sono fratelli di orfanotrofio. E chiamano sorella anche la loro ‘madre’ suora. The Blues Brother è un film culto che conquista ogni spettatore. Infinite le scene indimenticabili. Se qualcuno dei film consigliati sopra vi ha lasciato un po’ di amaro in bocca potete ristabilire le endorfine rivedendo (almeno qualche scena di) questo film, perché non esistono scuse per perdersi The Blues Brothers.
Da vedere in ogni condizione, con qualsiasi persona, con qualsiasi mezzo. Naturalmente indossando gli occhia