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Freddo come il ghiaccio

Da Marcofre

Il buon Cechov (ecco un altro autore che dovrei leggere) consigliava a uno scrittore di non iniziare a scrivere finché non si sentisse freddo come il ghiaccio.
Mi sembra di trovare un punto in comune tra alcuni autori proprio su questo punto.

Lo scrittore russo; Flannery O’Connor. E siccome la frase l’ho scovata in un libricino di Carver (“Niente trucchi da quattro soldi”, editore Minimum Fax), immagino che anche l’autore statunitense la pensasse in quel modo.

È singolare che per raccontare di carne e sangue, sia necessario per l’autore educarsi a un distacco tanto radicale. L’obiezione che sorge è quella che dice:
“Non si rischia di produrre storie senza cuore?”.

Forse ci si scorda che una delle qualità che una storia deve possedere è l’efficacia. Questa si raggiunge se l’autore fa un passo indietro (meglio due) in favore della storia. È lei che deve trovare spazio, non l’autore. Uno degli equivoci in cui cade chi inizia a scrivere è immaginare la storia come un megafono per le proprie esperienze.

È la narrativa dell’ombelico che tra l’altro riscuote grande successo perché il suo scopo non è creare narrativa di valore. Bensì intrattenere.
Tutto dipende dallo scopo che ci si prefigge. Quando l’obiettivo è scrivere qualcosa che tenda all’arte, allora fare spazio alla storia diventa quasi naturale.

A quel punto la storia non sarà senza cuore o fredda. Al contrario, avremo dei personaggi reali. Ci saremo costretti a puntare non su soluzioni “facili”, su dichiarazioni a effetto, o proclami. Ma concentreremo attenzione e talento su quello che conta. E non siamo noi, ma i personaggi.

È il nostro cuore che si deve appunto raffreddare, per permettere alla storia di respirare.


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