Anna Lombroso per il Simplicissimus
L’interazione esiste in natura, nel contesto sociale e definisce l’azione e influenza reciproca tra due o più persone, sostanze, fenomeni, individui e gruppi. Ne abbiamo una dimostrazione esemplare nella politica che probialmente speiga il rapporto il mutuo rapporto di scambio di valori, idee e comportamenti tra d’alema e il pd. C’è da dubitare per molti motivi della natura di grande timoniere capace di incidere profondamente su opinioni e convinzioni quanto della capacità di un partito abborracciato, con una identità sgangherata e indefinita, di forgiare un ceto dirigente e personalità forti.
In questi giorni, a proposito dell’agibilità del noto condannato, dell’Imu, della riforma elettorale, del semipresidenzialismo, si fa un gran parlare di una ragnatela di ricatti, minacce, estorsioni ai danni di un partito che si accredita come un soggetto minore se non minorato, inadeguato, confuso, in balia di un ceto scafato, abituato agli usi di mondo, magari quello dell’accertato crimine, formato alle regole del commercio e della libera iniziativa, fino alla pura licenza.
È invece più probabile che in una reciproca contaminazione siano cresciuti – o meglio regrediti – insieme, il D’Alema che citava al suo partito come esempio da non seguire il Partito d’Azione per l’”eccessiva moralità politica e l’indisponibilità al compromesso, e il Pd, dimentico delle sue radici, che della formula del compromesso storico accetta solo il primo ingrediente, con un istinto all’accomodamento, alla rinuncia al mandato di rappresentanza per garantirsi la sopravvivenza, con un’indole alla sleale abdicazione dall’immaginare un mondo “altro” , un diverso modello di sviluppo, improntato su uguaglianza e solidarietà, per preferire differenze che confermino la superiorità di un ceto separato, protetto e feroce con chi sta sotto.
Non c’è da parlare di abiura, che il passato, la missione di testimonianza, l’incarico di agire in nome e per conto degli sfruttati, sono stati da tempo superbamente rinnegati. Ma di una conferma della vocazione disegnata alla fondazione, con la sdegnosa ripulsa dell’appartenenza all’arcaica sinistra, l’ossessivo riferirsi a un maggioritario egemonico e tendenzialmente bipolare nel quale le formazioni coincidano largamente per principi e programmi in modo che nessuno stia veramente all’opposizione e tutti godano dei benefici della sussistenza al potere, anticipatore delle larghe intese, delicato eufemismo per dire “inciucio”, rilanciato proprio da D’Alema. Una formazione, insomma, che anche senza vincere o perdere clamorosamente le elezioni, sta al potere, per miracolo o per intrigo, per correità o per fedeltà dimostrata, per compravendita o per trasformismo, proprio come successe a D’Alema, diventato presidente del consiglio grazie al migrazione di sessanta parlamentari, o oggi a Letta, delfino di un presidente che accrescere l’autorità del suo regno nominando i suoi proconsoli. E sono cresciuti insieme passando al presidenzialismo esplicito dal semipresidenzialismo della bicamerale, vera anticamera dello smantellamento della Costituzione, vero obiettivo dell’alleanza inossidabile tra gli antichi finti nemici.
E osmosi o scambio, non stupiamoci dell’omogeneità dell’esercito dei salvatori del governo grazie alla salvezza di Berlusconi.. o il contrario. In tempi non sospetti Letta, siamo nel 2010, non ancora premier anticipò i tempi proprio come Violante sostenendo il diritto ad personam dell’antagonista a difendersi nel processo e anche dal processo.
La cessione di sovranità sembra essere la cifra di questi tempi, dello Stato, del popolo, del Parlamento esautorato grazie al ricorso alla decretazione e al voto di fiducia, del governo assoggettato al condannato-padrone. E che viene rivendicata come una libera scelta o meglio ancora come un onorevole compromesso. Perché si accampa che in democrazia i compromessi sono necessari per governare. Ma il compromesso comincia da questo, chiamare così la rinuncia ai principi, la perdita di identità, l’infedeltà al mandato, l’abiura dalla democrazia, l’oblio della storia, la dimenticanza del patto coi cittadini, chiamare governare l’ossessione di permanenza al potere, in nome di un cinico realismo, di un malinteso pragmatismo che retrocede la democrazia a stanca utopia e condanna noi tutti a non sognare più il nostro sogno.