Conti correnti, uffici postali e studi professionali setacciati dalle Fiamme Gialle cremonesi in quattro regioni. Tra gli indagati nomi noti e collegati ad inchieste cremonesi. E di nuovo, come nel caso di usura scoperto a maggio all’ombra del Torrazzo, emerge l’asse Modena-Cremona come una delle direttrici di espansione della nuova ‘ndrangheta, non più milanese ma “emiliana”.
Fiumi di soldi sporchi, proventi illeciti di usura frode fiscale, ottenuti con lo scopo di finanziare la criminalità organizzata d’importazione calabrese saldamente radicata in Emilia e zone limitrofe. Il bilancio della maxi retata condotta nelle prime ore di mercoledì 15 febbraio dalla Guardia di Finanza di Cremona (in collaborazione con i colleghi dei centri interessati) tra Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, ha portato al monitoraggio di conti correnti in due banche (a Modena e a Colorno) e di due ditte di trasporto nel parmense, assieme a sette avvisi di garanzia, emessi nei confronti sia di imprenditori del settore edile e dei trasporti sia di professionisti: tutti coinvolti in attività usuraie e di frode fiscale, «aggravate dalla finalità di agevolare un’associazione mafiosa». Lo scopo del network di imprese scoperto dalle Fiamme Gialle era la creazione di liquidità sottraendola al fisco per impiegarla nella concessione di prestiti ad aziende emiliane in difficoltà finanziarie, si ritiene anche allo scopo di assumerne il controllo.
Tra gli imprenditori destinatari degli avvisi di garanzia a seguito del blitz si spuntano vecchie conoscenze. A parte il mantovano Andrea B. (residente a Goito), alcuni cognomi erano già emersi nell’inchiesta condotta quest’estate dalla procura di Cremona e dagli uomini del colonnello Alfonso Ghiraldini, quando venne arrestato un usuraio che aveva preso di mira un barista del centro cittadino. Proprio a partire da quell’episodio si sono sviluppate le indagini che hanno portato al blitz di mercoledì, passate nel frattempo alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna per la presenza di legami con le cosche della ‘ndrangheta emiliana. Spicca il nome di Gianni F. V., fratello di quel Giuliano F. V.(attivo a Reggio Emilia, sorvegliato speciale, ex clan Dragone e poi affiliato al clan di Nicolino Grande Aracri) coinvolto, assieme a Francesco Frontese, e denunciato a piede libero nel caso di usura registrato a Cremona. Oltre a lui sono spuntati anche i nomi di Mario V. (Crevalcore),Gaetano B., Carmine B., Giuseppe G., e Salvatore C. I primi due, assieme a Giuliano F.V., erano già nel mirino della Procura di Cremona e sottoposti ad intercettazione nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Procura cremonese sul caso di usura emerso a maggio. All’epoca il tenente colonnello Nicola De Santis aveva precisato che il giro avrebbe potuto allargarsi. E nell’ordinanza di custodia cautelare il gup Guido Salvini, oltre a lasciar trasparire una connessione dell’episodio «con fenomeni anche pregressi di usura sistematica legati ad ambienti della criminalità organizzata», aveva ben sottolineato la prosecuzione delle indagini «finalizzate ad evidenziare l’esatto contesto in cui il prestito usuraio è avvenuto». Con il blitz di mercoledì, quel «contesto» risulta assai più nitido con la rivelazione della rete di rapporti criminali che dal capoluogo reggiano ha spinto le proprie propaggini sin nel cremonese.
DI NUOVO EMERGE L’ASSE MODENA-CREMONA
Di nuovo spunta l’usura e le false fatturazioni. Di nuovo spuntano nomi legati al clan di Nicolino Grande Aracri, detto “manu ‘e gomma” (colui che, secondo i rapporti dell’Antimafia, controlla da Brescello anche il cremonese). Di nuovo emergono l’asse Modena-Reggio-Piacenza-Parma-Cremona da un lato e, dall’altro, quello Modena-Reggio-Mantova-Venezia. Di nuovo trova conferma quanto segnalato dal sostituto procuratore della Dna Roberto Pennisi nella seduta della Commissione Parlamentare Antimafia lo scorso aprile. E’ a queste direttrici, spiegava Pennisi, che «bisognerà stare particolarmente attenti per il futuro»: il Veneto, dove «i boss agli occhi degli imprenditori già risultano più affidabili delle banche, perché concedono ciò che non esce dai cordoni chiusi degli istituti di credito». E dall’altro un’area che «parte da Modena e giunge sino a Cremona». Qui è attiva la ‘ndrangheta di matrice lametina e crotonese, diversa da quella reggina delle grandi inchieste milanesi. Da Reggio a Cremona la strada non è così lunga ed è piena di situazioni oscure e poco conosciute: storie di usura, di subappalti privati a imprese colluse con organizzazioni mafiose, società con azionisti invisibili che hanno sede nelle città, locali che vengono acquistati da persone senza referenze e senza passato. E anche se nessuna società e nessuno dei soggetti coinvolti è, per ora, della nostra provincia, le indagini proseguono con diversi indizi cremonesi da approfondire.
UNA ‘NDRANGHETA CHE NON COLONIZZA MA DELOCALIZZA
L’Emilia, il Veneto, il mantovano e il cremonese. Queste sono le zone in cui il sostituto procuratore della Dna Roberto Pennisi ha riconosciuto attiva la “altra ‘ndrangheta”, quella originaria del lametino e del crotonese: in territorio emiliano è presente ormai massicciamente; in territorio cremonese con accenni timidi (il citato caso di usura) ma da non sottovalutare. Ed è vero che con Cremona siamo già in territorio lombardo, ma «in una parte di Lombardia che sfugge alla costruzione della ‘ndrangheta “unitaria” di Milano e Reggio Calabria, sgominata dalle inchieste “Crimine” e “Infinito” (le articolazioni della ‘ndrgangheta, ha ricordato anche il gup Guido Salvini, si recidono e si riannodano frequentemente, in base ai bisogni). Con una sostanziale differenza rispetto alla “collega” milanese: «questa ‘ndrangheta non colonizzerà mai, per evitare di commettere l’errore commesso dalla ‘ndrangheta reggina. Continueranno invece in questa attività di delocalizzazione, che comporta un sistema di collusioni e relazioni con più intensi ed essenziali rapporti con il mondo dell’economia e delle professioni». Questa dunque è l’area del futuro. E se andiamo a cercare i reinvestimenti, cioè il denaro che parte dal Sud diretto al Nord, rischiamo di fare un passo nel vuoto. Per questa ‘ndrangheta «lo scopo è il contrario: creare ricchezza nel Nord Italia per farla convergere verso il Sud».
PROTOCOLLI DI LEGALITA’ PER PREVENIRE LE INFILTRAZIONI MALAVITOSE
L’identikit della rete scoperta dagli inquirenti risponde perfettamente alla tipologia della nuova “criminalità economica organizzata”, che l’ultima relazione della Dda milanese riconosce «capace non solo d’integrarsi con l’economia legale ma anche di anticiparne l’evoluzione e le opportunità», sfruttando un tessuto economico reso fragile dalla crisi e dal credit crunch e creando «lobby d’affari con soggetti anche estranei alle organizzazioni criminali». Ormai il salto della malavita non è più solamente geografico, come avvertiva Leonardo Sciasciasegnalando l’innalzamento della mafia (la famosa “linea della palma e del caffè ristretto”) dal mezzogiorno alle pianure del nord. Il salto ormai è anche sociale: dalle attività “vetero criminali” alla nuova “economia criminale”, a colpi non più di fucile ma di fatture false, strozzinaggio. Come a dire, dalla lupara alla cravatta, verso una sorta di “yuppismo criminale”.
Per questo A Reggio Emilia e Mantova è stato siglato un protocollo d’intesa tra le forze politiche, l’Amministrazione, la magistratura e le forze dell’ordine per arginare il fenomeno della criminalità organizzata. Il protocollo, per il quale il prefetto può dare degli input, prevede pure lo scambio di informazioni tra Camere di Commercio (con l’obiettivo di rendere più trasparente l’accesso ai dati) assieme al coinvolgimento delle associazioni del mondo economico. Nella stessa direzione si stanno muovendo a anche a Colorno (il cui sindacoMichela Canova ha recentemente ricevuto una busta con proiettili) e Modena, dove in seguito al blitz di ieri della Gdf di Cremona alcuni conti correnti sono finiti sotto indagine. A Cremona invece la mozione presentata a luglio 2012 dal consigliere comunale Giancarlo Schifano per prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata deve ancora essere discussa. Se nella nostra città l’unico caso collegato alle ‘ndrine è quello dello scorso maggio non significa che non ve ne siano altri. Occorre tenere presente che l’usura è un reato “carsico”, poco denunciato per paura di ritorsioni. «Molto spesso – si legge nel rapporto dell’Antimafia – l’imprenditore che si rivolge all’usuraio non ha il coraggio e la forza di denunciare il proprio dramma personale e familiare per paura di subire ritorsioni». E se è vero che due rondini non fanno primavera, questo non vale per l’usura e le estorsioni. I casi “sporadici” dello scorso anno scoperti nel cremonese potrebbero essere solamente la punta dell’iceberg.
Michele Scolari