In “mancanza di alternative”, nello Utah è stata approvata la legge che ripristina la fucilazione.
Lo Utah, unico stato degli Usa ad aver eseguito condanne a morte con la fucilazione negli ultimi 40 anni, sta per consentire il ritorno dell’antico metodo, sperimentato per la prima volta durante la guerra d’indipendenza americana. Un’opzione in più, data la mancanza dei farmaci per l’iniezione letale, orma introvabili. Il Parlamento statale, controllato dai repubblicani, ha dato l’approvazione finale alla proposta. Il governatore, Gary Herbert, non ha detto se firmerà il disegno di legge o se metterà il veto. <<Vorremmo continuare con l’iniezione letale – ha detto – ma con la fucilazione avremmo un piano di riserva>>. Una situazione da vecchio West, con un plotone d’esecuzione composto da cinque uomini armati di fucile pronto a porre fine a una vita ritenuta da un Tribunale indegna d’essere vissuta.
Fucilazione: l’ultimo caso nel 2010. La storia di Ronnie Lee Gardner.
Non succedeva più da anni negli Stati Uniti, ma ora lo Utah, che per ultimo aveva eliminato la fucilazione come pena di morte, la sta ripristinando. In realtà, il plotone di esecuzione ha continuato a essere legale in Utah, unico stato insieme all’Oklahoma. Fino al 2004 i condannati potevano opzionarlo, come fece Ronnie Lee Gardner, la cui fucilazione risale al 2010 nel carcere di Salt Lake City. Anche se la fucilazione era stata abbandonata per legge nel 2004, il condannato aveva comunque il diritto di scegliere come morire perché la sua condanna a morte era precedente all’entrata in vigore della legge, che rese l’iniezione letale metodo principale per le esecuzioni. La fucilazione di Ronnie Lee Gardner aveva seguito un preciso rituale. Il condannato era stato legato a una sedia, cinque volontari armati si erano posizionati a otto metri di distanza, solo uno di loro con l’arma caricata a salve. Un fazzoletto bianco era stato fissato all’altezza del cuore del detenuto, la cui testa era stata coperta con un cappuccio. Infine, la morte per fucilazione.
Fucilazione: la “colpa” è dell’Europa?
Tutto nasce da un’iniziativa dell’Unione Europea, che nel 2011, per ragioni etiche, ha vietato l’esportazione negli Stati Uniti del cocktail di sostanze usate per somministrare l’iniezione letale ai condannati a morte. Il provvedimento si è rivelato efficace perché gli stati che ancora mantengono in vigore la pena capitale non riescono a trovare sostituti adeguati. Diversi stati americani stanno cercando delle alternative: una delle sostanze più utilizzate nelle iniezioni letali, il Pentobarbital, sta diventando molto difficile da reperire. Si tratta di una sostanza che si usa soprattutto per le eutanasie animali, ma anche per quelle umane. Per anni il Pentobarbital è stato usato come componente principale per le iniezioni letali in diversi stati americani. Quando però la notizia dell’utilizzo della sostanza si è diffusa in Danimarca, dove ha sede il produttore, una campagna stampa ha spinto la società a bloccare tutte le vendite. Le aziende farmaceutiche non vogliono che i loro prodotti vengano utilizzati per iniezioni letali e l’Unione Europea definisce illegale la vendita di prodotti utilizzabili per la pena capitale.
Fucilazione: la situazione negli altri stati americani.
Una legge per autorizzare il plotone d’esecuzione è stata introdotta già in Arkansas quest’anno, mentre è stata bocciata in Wyoming. In Oklahoma, invece, stanno prendendo in considerazione l’uso del gas di azoto per eseguire le condanne.
Secondo un terzo degli intervistati per un sondaggio dello scorso anno della Nbc, davanti all’impossibilità di procedere con un’iniezione letale – per la mancanza delle sostanze o per altri problemi – le esecuzioni dovrebbero essere fermate, mentre per i due terzi si potrebbe procedere con metodi alternativi, abbandonati da tempo: il 20% ha citato la camera a gas, il 18% la sedia elettrica, il 12% il plotone d’esecuzione e l’8% l’impiccagione.
Come è noto, alcuni stati hanno cominciato a usare farmaci alternativi che nei mesi scorsi hanno trasformato alcune esecuzioni in orribili agonie dei condannati, provocando choc e proteste in tutto il mondo. Tanto che ora la Corte Suprema dovrà pronunciarsi sull’uso di questi farmaci. Ne è esempio il tragico caso di Dennis McGuire, un condannato dell’Ohio che nel gennaio 2014 impiegò 25 minuti a morire straziando con le sue urla di angoscia e di dolore i testimoni dell’esecuzione. La sostanza utilizzata fu una mistura di midazolam e idromorfone. La stessa mistura ha causato effetti ancora più evidenti in almeno altre due condanne a morte negli ultimi tempi. In un caso, in Oklahoma, il condannato ha impiegato 43 minuti a morire. In Arizona, un’altra esecuzione di condanna a morte è durata quasi due ore.
Dal 1976, anno in cui la pena di morte è stata ripristinata negli Stati Uniti, vi sono state “solo” tre fucilazioni, secondo i dati del Death Penalty Information Center.
Intanto, il Texas, stato che ha il primato americano di 521 esecuzioni dal 1982, è rimasto a corto di dosi per le iniezioni letali e potrebbe essere costretto a rinviare alcune esecuzioni. Entro la fine di aprile ne sono previste sei, ma secondo quanto riferito da funzionari di polizia penitenziaria il pentobabital a disposizione è sufficiente solo per due esecuzioni: quella di Manuel Vasquez di pochi giorni fa e quella di Randall Mays, prevista per il 18 marzo. <<Stiamo valutando ogni opzione, compreso l’utilizzo di altri medicinali>>, ha spiegato Jason Clark del dipartimento di Giustizia criminale in Texas.
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