Prometeo che regalò il fuoco agli uomini fece una gran brutta fine, Zeus lo spedì in capo al mondo e lo condannò al tormento fisico. Quel battibecco tra dei non è che la questione delle questioni dell’umanità. Da una parte la necessità dell’intervento divino per il cammino dell’uomo (tema a lungo dibattuto in filosofia e poi liquidato in forma dogmatica dai santi Agostino e Tommaso che fecero divenire Aristotele e Platone dei profeti) e dall’altra il senso del progresso, la sua direzione, i suoi limiti. La ubris umana che il medioevo dantesco condannò incarnandola nel povero Ulisse il quale, Dante non me ne voglia, io preferisco pensarlo a riposare la vecchiaia tra le braccia di Penelope piuttosto che di nuovo in viaggio dopo venti anni di guerra e viaggio. I greci i limiti li conoscevano e l’importanza dell’amore anche.
Dice un saggio senza nobel che all’umanità di oggi manca il dibattito filosofico, la riflessione etica. Tutto è demandato ad encicliche papali (su questi temi interessanti e varrebbe la pena dibatterle come si faceva una volta rifondando quel sano duello tra Guelfi e Ghibellini almeno in forma intellettuale) o a scienziati affamati di nobel e premi, senza alcun freno etico. Persino il dibattito sul fine vita (viviamo attaccati alle macchine, non è anche questa ubris, santità?) o sulla vita (i limiti che comunque DEVE avere l’inseminazione artificiale) risiede in quel luogo dove il laicismo è la laicità che abdica l’etica e il clericalismo è il cattolicesimo che ripudia il valore profondo del cristianesimo.
Prometeo era amico degli umani, permise loro di civilizzarsi, di avere lo strumento per emanciparsi dal buio, dalle grotte, dal crudo. Violò la regola del soggiogamento al divino e nello stesso tempo è la metafora della scoperta, dell’evoluzione e dell’ottimismo nel genere umano: una specie di futurismo arcaico per cui il progresso era SOLO positivo.
Nell’Antigone, messo in scena nella stessa era, Sofocle affronta il tema che era del suo tempo e accosta la techné a Gea, la terra. Si incontra, forse per la prima volta, il libero arbitrio umano, la possibilità di dialettica tra umano e divino. L’uomo che con la tecnica piega la terra, immaginate un aratro e arrivate, ad oggi, alle dighe, ai porti, al fatto che voliamo, ad una centrale nucleare che con elementi tutti esistenti in natura produce energia.
Eccolo il dono di Prometeo che per mano di Enrico Fermi, un italiano, riscopre il fuoco.
L’energia nucleare sembra essere il dunque di un percorso millenario, uno scenario immaginato dagli scrittori di fantascienza e dai registi e persino dai cartoni animati (come non ricordare, visto che parliamo di Giappone, Ken Shiro) che hanno proiettato l’ansia della distruzione cosmica, della devastazione e del deserto per mano di quel fuoco nuovo.
Una volta gli incendi erano quanto di più devastante potesse capitare. Bruciavano le foreste (e non c’erano i pompieri) e con loro la fauna e la vegetazione. Bruciavano le case che erano “combustibili”. Oggi gli incendi sono domabili, fuggibili, hanno effetti che possiamo (quasi sempre) circoscrivere e che comunque hanno effetti circoscritti, seppur vasti, al loro passaggio.
Il nuovo fuoco è un fuoco che entra nei polmoni, si adagia nella pelle, si infiltra nell’acqua, nella terra. Uccide tutto: il presente e il futuro, come quelle maledizioni di una volta: a te e tutta la tua stirpe a venire.
Sofocle, fondatore dell’etica laica, si interroga (ah, il dubbio, quanto ci manca il dubbio!) sul fatto che il progresso non ha colore. Il progresso non è né giusto né sbagliato. Il nucleare non è giusto e non è sbagliato. La bomba atomica è sbagliata. La centrale nucleare è la migliore idea della contemporaneità, le colonne d’ercole che, valicate, ci possono consentire di produrre energia senza inquinare, l’emancipazione dal satanico petrolio la cui combustione ci avvelena e ha già fatto probabilmente più morti del nucleare.
Ma.
C’è un ma.
Molto umanamente ritengo che l’uomo non sia pronto. Non è pronto perché l’uomo è ancora cattivo con se stesso, immaturo perché ancora non discerne l’interesse del singolo da quello collettivo, non sa gestire nemmeno la democrazia. E’ ancora distratto. E allora compie errori (mi fanno ridere quelli che ripongono il rischio nucleare tutto nell’errore umano…certo! Ovvio…e chi siamo noi, se non umani e quindi difettosi e non siamo forse noi a gestire le centrali nucleari e non saremmo forse noi, in ogni caso, a progettare robot se questo vi sovviene alla mente?), oppure in malafede risparmia sui materiali, sulla manutenzione. E allora forse, è il momento di riflettere se siamo pronti ad usare questo fuoco, se non è il caso di riporlo per come è ora (le scorie, la manutenzione, restano interrogativi irrisolti) e continuare a studiare. Se non è il caso di rallentare la corsa dell’umanità.
Perché la domanda è: dove stiamo andando? E chiederselo non è né essere “anti” progresso, né medievali. Chiederselo (come sta facendo la Merkel per esempio e non è un caso che proprio la Germania sia il paese europeo che più di ogni altro ha ereditato dal pensiero greco anche se il protestantesimo confligge con il libero arbitrio ma questo è un altro film ancora)) è profondo coraggio, è consapevolezza tutta umana, è abitare quel luogo in cui l’uomo si emancipa dal divino e dalle credenze, ma conserva la giusta spiritualità laica che lo rende capace di comprendere i propri limiti.
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Sofocle…lo trovate in libreria.