Trent’anni fa ci lasciava uno dei più grandi personaggi del calcio italiano, Fulvio Bernardini, prima giocatore di livello, poi dirigente, allenatore di club vincente e infine commissario tecnico della nazionale maggiore. Era anche laureato in discipline economiche.
Nato a inizio novecento a Roma si mise in luce ancora giovane nelle fila della Lazio quando ancora non esisteva il Campionato di calcio a girone unico e per poco non riuscì nell’impresa di strappare il titolo al fortissimo Genoa dell’epoca. Giunse all’Inter da attaccante con ottima propensione al gol e dimostrò le sue capacità ma già aveva lo sguardo da allenatore, tanto che fu proprio Bernardini a scoprire e insistere con il mister nerazzurro Veisz perché lanciasse in prima squadra un certo Peppino Meazza. Per far spazio al Balilla Bernardini retrocesse nel ruolo di centro-mediano (la parola centrocampista non era ancora stata coniata alla fine degli anni Venti). Dall’Inter passò alla Roma giocando quasi trecento gare in serie A con la maglia giallorossa.
Dopo la guerra entrò nel mondo della Federazione Calcio con ruoli dirigenziali ma la sua strada doveva essere quella della panchina.
Credeva nei piedi buoni e nelle sue squadre questi non mancavano certo ma egli seppe esaltarli al massimo.
Il ruolo di allenatore l’avrebbe portato tra i grandi di sempre, in un’epoca, in cui il dominio dell’asse Torino-Milano era già preponderante.
A metà degli anni ’50 il suo ciclo fiorentino culminò con il primo storico scudetto viola.
Alla fine di quel decennio portò invece la Lazio conquistare il suo primo trofeo, la Coppa Italia.
La prima metà degli anni ’60 fu invece segnata dal suo Bologna che conquistò il settimo tricolore vendo la meglio nello spareggio, giocato nella sua Roma, sull’Inter mondiale di Helenio Herrera. Sembrava tornato il Bologna “che tremare il mondo fa”.
E’ risaputo che tre indizi costituiscano una prova quindi non resta alcun dubbio sulle capacità tecniche e gestionali di Fulvio Bernardini e queste furono riconosciute appieno.
All’indomani della disfatta ai Campionati del Mondo tedeschi del 1974 gli fu conferito l’incarico di CT della nazionale e, nonostante mille difficoltà e risultati poco gratificanti, riuscì a gettare le fondamenta per quel capolavoro architettonico che fu poi la nazionale di Enzo Bearzot.