Viaggio nell’universo nero di Georges Simenon
Georges Simenon (Liegi, 1903 – Losanna, 1989) ha lasciato molto, dietro di sé: guadagni da capogiro, innumerevoli amanti, un’insaziabile voglia di grandiosità. E una vastissima, sconfinata produzione letteraria: circa duecento romanzi firmati con il proprio nome e altrettanti sotto vari pseudonimi, un migliaio di articoli e centinaia di racconti, oltre a volumi di dettature e memorie. Viveur formidabile, scriveva al ritmo di ottanta pagine al giorno e tre libri al mese, e collezionava pipe con identica frenesia.
A lungo snobbato dalla critica, Simenon ha ricevuto numerosi attestati di stima dagli intellettuali più autorevoli del XX secolo: per Jean Luc Godard, “in Simenon si realizza la felice unione tra Dostoevskij e Balzac”; il Premio Nobel André Gide, che l’autore belga considerava un maestro, lo giudicò “un grande romanziere, forse il più grande e autentico che la letteratura francese abbia oggi”. Se non il più grande, di sicuro Simenon è stato lo scrittore più prolifico della sua generazione: lavorava per sei editori differenti e la tiratura globale delle sue opere ha superato il traguardo del miliardo di copie. Si narra di una telefonata di Alfred Hitchcock il quale, informato dalla segretaria dello scrittore che “Monsieur è impegnato nella stesura di un romanzo” e conoscendo l’incredibile velocità di scrittura di Simenon, pare abbia risposto con un folgorante: “Ok, signorina, attendo in linea”! Ipertrofico in tutto, anche nelle contraddizioni, Simenon suscita da sempre opinioni e giudizi assai discordanti: vi è chi lo ritiene un “semplice”, ancorché abilissimo, scrittore di gialli, e chi lo considera invece – con qualche buona ragione – uno dei massimi autori di prosa del Novecento.
La domanda che intendiamo porci in questa sede è, più semplicemente, se Georges Simenon sia stato un romanziere noir. Si tratta di un tema assai controverso, così come sono contro-verse le linee di demarcazione tra i generi letterari e tra questi e la letteratura cosiddetta “alta”.
Jean Gabin nei panni di Maigret
Il nome e il successo di Georges Simenon sono legati principalmente alle inchieste del Commissario Maigret, veri e propri gioielli della letteratura poliziesca che, discostandosi dall’impianto tradizionale del whodunit (il giallo deduttivo o giallo classico all’inglese), spostano il fuoco dell’attenzione dal “chi è stato” (who done it, per l’appunto) al “perché lo ha fatto”. L’indagine psicologica assume, nei romanzi e racconti di cui si tratta, una rilevanza del tutto particolare: Maigret è interessato alle vicende umane che conducono al crimine più che al crimine in sé e alla sua risoluzione; ciò che conta, ai suoi occhi, è il percorso che porta il colpevole ad essere colpevole e la vittima ad essere vittima. Maigret è un conoscitore d’anime che utilizza il “non metodo” (come lo definisce lui stesso) dell’intuito e dell’immedesimazione, un indagatore del lato oscuro dei cuori. Il colpevole viene sospettato e talvolta persino individuato assai presto, nell’intreccio, e l’inchiesta non è che il disvelamento del suo dramma interiore e delle circostanze che lo hanno provocato; lungi dall’essere riparatrice o consolatoria, dunque, la risoluzione del mistero si rivela essere piuttosto un anelito di comprensione: Maigret dubita, s’interroga, si sforza di conoscere. E non giudica. E’ un investigatore profondamente umano, insomma, con le sue storture e le sue debolezze… e una pietà infinita per chi si perde sulla strada del male: una figura pressoché unica nel panorama letterario poliziesco, saturo di super-detective onniscienti e paladini del Bene con la B maiuscola.
Ma è nei romanzi che Simenon stesso definiva “seri” – romanzi in corso di traduzione e pubblicazione da Adelphi sin dal 1985 – che si nascondono le sorprese più ghiotte: “L’assassino”, “La verità su Bébé Donge”, “Il fidanzamento del signor Hire”, “L’uomo che guardava passare i treni”, per citarne alcuni, sono opere sorprendenti che fanno di Simenon il punto di riferimento imprescindibile per ogni scrittore noir. “Simenon per la scrittura noir è come Shakespeare per il teatro: non si può fare a meno di lui”: parola di Giancarlo De Cataldo, autore di spicco del noir italiano che sottolinea uno degli aspetti più importanti dell’eredità dello scrittore belga: l’aver saputo superare la dicotomia tra scrittura di genere e scrittura “alta”, imponendosi come autore senza etichette e restituendo dignità letteraria al poliziesco e al noir. In un certo senso si può dire che attraverso l’opera di Georges Simenon il noir diventa noir d’autore, e sbalordisce ancor oggi per la sua contemporaneità. I romanzi simenoniani raccontano una discesa verso l’abisso, una caduta inarrestabile verso il male e le sue conseguenze. Non vi sono misteri o problemi logici da risolvere, né assassini da smascherare: il protagonista è in genere un uomo qualunque che “passa la linea” e percorre il cammino della dannazione nel convincimento – illusorio – di conquistare con la devianza criminale una forma di emancipazione dalle pochezze dell’esistenza quotidiana. A ben vedere le opere non prettamente poliziesche di Simenon descrivono tutte questa parabola discendente, questa incrinatura irreversibile; esse indagano il delitto, se non con indulgenza, con una lucida e glaciale impotenza: quasi che il nostro antieroe non potesse far altro che invischiarsi nella ragnatela del male e precipitare in un baratro in cui, lungi dal riscattarsi, ritrova i fantasmi da cui ha tentato disperatamente di fuggire.
Fuori dal blu e dentro al nero, verrebbe da dire prendendo in prestito le parole di Neil Young: un infinito spleen declinato in piccole e penetranti storie nere. Non (non solo) perché un certo numero di personaggi, fatalmente, muore; ma perché si racconta la tragedia umana del vivere. Se Barry Gifford non era lontano dal vero quando sosteneva che il noir “é soltanto una storia che inizia male e finisce peggio”, allora Simenon può considerarsi a pieno titolo uno dei più grandi romanzieri noir del secolo scorso nonché un maestro assoluto del genere. Se è vero poi, come scrisse il giornalista e critico cinematografico Giorgio Gosetti, che il noir, al pari del blues, non è un genere bensì “un colore, uno stato d’animo, una sensazione”, possiamo affermare senza timore di smentita che Simenon ha colorato di nero ogni singolo scritto regalandoci un retrogusto d’amaro in bocca e una miriade di piccoli e grandi capolavori di questo genere letterario.
Simona Tassara
(da Fralerighe n. 2)