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Gaetano alla sua prof: capisco che preferisce perdermi, piuttosto che curarsi di me

Da Simonetta Frongia
31/05/2011Pubblichiamo di seguito una lettera scritta da uno studente di 15 anni pervenutaci da Asasi. Si tratta di una lettera molto intensa e profonda, scriita a cuore aperto da uno studente che grida la sua volgia di esserci e il suo desiderio di conoscenza e di amore. Rischia la bocciatura ma dalla lettera traspare grande padronanza di linguaggio, maturità e capacità narrativa.
Gaetano alla sua prof: capisco che preferisce perdermi, piuttosto che curarsi di me
Spettabile professoressa,

anche oggi entrando in classe e chiudendo la porta Lei ha sbarrato la vista del sole, della vita, della libertà. È entrata col suo solito vestito che sa di antico, la borsa appesantita di ricordi, il passo lento ed enigmatico, la tristezza del volto esangue, le labbra stizzite di rinuncia e di rivincita. Ma dov’è l’entusiasmo didattico di cui parla Edgar Morin, grazie al quale voi insegnanti dovreste formare “teste ben fatte?”. Ma l’ha letto questo libro, Lei che mi rimprovera di non leggere libri?
Lei riesce a leggere ancora libri in mezzo alle liste della spesa e ai rendiconti di condominio cui la costringono la modestia del suo stipendio e la perdita del prestigio sociale che è causa dell’elaborazione di un lutto che si rinnova giorno per giorno? 
Ma ha mai lottato, veramente, prof.ssa, contro l’ingiustizia, è mai scesa in piazza, ha gridato con veemenza contro l’immiserimento della sua condizione sociale? 
O la sua condizione sociale è borghese, e non Le è convenuto metterla in pericolo con azioni rivoluzionarie? 
O ha avuto paura di dovere rendere conto ai suoi superiori di azioni goliardiche degne soltanto del popolo e non di una nobile professione? Neanche si è seduta alla sua cattedra che già mi sento osservato, guardato, esplorato, indagato, predestinato. 
Perché ce l’ha con me? Perché citando il mio cognome, le numerose rughe che circondano la sua bocca si muovono con un’espressione di stomachevole irritazione, e il suo naso aquilino sembra assumere l’aspetto di un ago pronto a pungere e gli occhi nascosti da occhiali a triplo spessore per correggere le sue patologie visive, sembrano voler sottolineare i difetti del mio fisico e della mia personalità, per farmi diventare un “nuddu mmiscatu con nniente”, e lo sguardo esprime una commiserazione commista ad un’ironia mal celata? Non ci somiglio a suo figlio, vero prof.ssa? 
Lui è certamente un bel ragazzo borghese che frequenta un liceo del centro, con jeans alla moda, magliette firmate, la sua stanzetta arredata con televisore, lettore cd, sistema wireless per internet. Quante volte lo ha aiutato a fare i compiti, quanti suggerimenti gli ha dato, quanti consigli, quante telefonate ha fatto ai suoi colleghi per giustificargli la stanchezza della domenica e quanti aiuti generosi ha trovato ed usato al momento giusto quand’era in difficoltà? 
Mio padre torna a casa la sera stanco morto, dopo un lavoro faticoso di muratore e mia madre accudisce, giorno per giorno, i miei numerosi fratelli, con una sofferenza nel volto che nasce dall’impossibilità di accontentare le nostre richieste. 
Non ricordo più, adesso che ho quindici anni, quando mi ha preso in braccio l’ultima volta e spesso quando non se ne accorge, la guardo e sento lo struggente desiderio di un suo bacio. Si lo so, mi distraggo alle sue noiose lezioni. Si, sono stato e sono a volte sgarbato, volgare, chiacchierone, menefreghista, disinteressato. Ma, Lei, prof.ssa, quante volte ha messo in pratica gli articoli 4,5,6 del D.P.R. 275/99, quante volte ha fatto un insegnamento individualizzato che mi facesse sentire il suo affetto, la sua stima, il desiderio di farmi uscire dal mio ghetto, che mi dimostrasse che l’allievo, qualunque allievo, è veramente, il perno, il centro, il nucleo dell’avventura del sapere? 
Quante volte ha distribuito, come dice la legge, in modo differenziato e geometrico le sue risorse didattiche al fine di fare diventare la scuola “un mondo di giustizia”?
Le sue abitudini eternamente uguali (due voti a tutti i costi, ricevimenti sonnolenti, pagelle intermedie con i non classificati, silenzio perenne ai collegi, assenze strategiche, giorno libero sempre uguale) hanno incartapecorito la sua espressione, e quel nero forzato dei capelli non riesce a cancellare il bianco dell’anima, non segno di candore, né di trasparenza, né di bontà, ma di una severità rigida e sistematica che conduce, anche quest’anno, alla mia sonora e immeritata bocciatura, perché la sua valutazione non terrà in minimo conto la mia biografia cognitiva, anche se la legge dice il contrario. 
E dire che, nonostante tutto, non riesco neppure ad odiarla ed esercita su di me un fascino che non riesco a definire, a capire. 
Angelo e diavolo, acqua chiara e fiume torbido, speranza e maledizione. Sono appena nato come studente e già capisco di essere un perdente, capisco che preferisce perdermi piuttosto che curarsi di me. 
Addio.
Gaetano Bonaccorso [email protected] 

Fonte:  http://www.tecnicadellascuola.it/index.php?id=32204&action=view&c

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