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Gamberi in foglie di limone

Da Rocco

Gamberi in foglie di limone

… il cielo era sorprendentemente terso, l’aria maledettamente gelida, una giornata di quelle che ti mettono buon umore e che ti fanno pensare all’estate, ma era ancora febbraio e l’estate sembrava così lontana. Sul vaporetto c’era molta gente, tutti al carnevale, e Venezia vista da lontano non aveva quella sua aria sonnacchiosa e un po’ decadente che ha di solito. Antonio aveva lasciato Compostela da quasi due anni, il suo zaino da viaggiatore e la sua chitarra erano per lui la sua casa e i suoi amici, finalmente stava arrivando a Venezia meta che poteva sembrare scelta a caso ma  in realtà era una tappa fondamentale del suo cammino verso la scoperta di se stesso. Era seduto in un cantuccio verso la fine della nave e sonnecchiava sereno, si era ripromesso di pensare al numero che avrebbe messo in scena solo dopo aver trovato il posto ideale per il suo cavallo di battaglia fatto di canzoni e siparietti irriverenti che aveva fatto più volte e in diverse città che aveva visitato. Non appena sbarcato si avviò pigramente, zaino in spalla, chitarra a tracolla, mani affondate nei tasconi del suo giaccone da marinaio inglese alla scoperta della città e a differenza delle altre volte non andò subito alla ricerca dell’ostello. Si ripromise che ci sarebbe andato non appena la luce meravigliosa di quel giorno avrebbe lasciato spazio all’oscurità. Scoprì una cosa strana ma meravigliosa, a Venezia le piazze non si chiamano piazze ma campi, pensò che fosse una città proprio unica per questo e per altri mille motivi. Di solito sceglieva le piazze in cui esibirsi seguendo una legge di mercato ma in quel caso arrivato a campo San Trovaso sentì delle forti vibrazioni positive inondarlo, fu come sentirsi a casa, prese la chitarra si sedette per terra e iniziò a suonare, le canzoni dei suoi cantautori preferiti, suonò per se stesso questa volta, volle godersi quelle sensazioni da solo in uno stato di pace interiore. Donato era al suo primo giorno di viaggio-terapia, come al solito impacciato, goffo e più timido che mai però fortemente motivato a seguire il consiglio del suo caro amico/medico che gli aveva consigliato di fare un viaggio da solo per vincere quella sua timidezza invalidante di cui soffriva da sempre e che gli aveva precluso tante cose nella sua giovane vita. Per darsi forza ripeteva a se stesso le parole del suo amico che prima di partire salutandolo alla stazione gli aveva detto, Donato se alla fine del viaggio non avrai ottenuto nulla almeno ti sarai visto una città che non conoscevi. Quasi nascosto dietro una colonna ascoltava la musica dolce che usciva dalla chitarra di questo giovane ragazzo dai capelli e dalla barba lunga, con una faccia da gran bravo ragazzo vestito da viaggiatore pellegrino moderno. Si sentiva bene, il fatto che non dovesse interagire per forza o per cortesia con il prossimo gli dava serenità e lo faceva sentire libero. L’aria di mare gli aveva messo appetito, doveva decidere solo quando e dove andare a mangiare. Improvvisamente non sentì più la musica, guardò verso il giovane barbuto e scoprì che lo stava osservando e non appena i loro sguardi si incrociarono questi gli rivolse un cenno cordiale di saluto, terrore, si sentì delle vampate di calore salire fino al cervello e senza ricambiare il saluto scappò via come un ladro. Si rifugiò in una paninoteca, era agitato e balbettava più del solito, ordinò un panino qualsiasi e una pinta di birra scura che trangugiò quasi tutta di un fiato. Si, il mio problema è la timidezza, la mia balbuzie è dovuta alla timidezza, tutti i miei guai sono legati alla timidezza. Era la prima volta che ammetteva a se stesso tutto ciò, sentiva un dolore lancinante dentro lo stomaco, aveva toccato la verità e aveva deciso che da qui sarebbe partito verso la sua cura. A quel punto si disse che aveva due possibilità, la prima di correre in stazione, riprendere il treno, ammettere la sconfitta e tornarsene a casa; la seconda di ritornare dal cantastorie, scusarsi, fare amicizia con lui e affrontare con decisione la sua balbuzie e la sua timidezza. Ecchecazzo sono partito a fare si ritrovò a sussurrare, si alzò in modo rabbioso e convinto, tornò verso campo San Trovaso, o adesso o mai più, stavolta era proprio convinto. Così fu, si piazzò di fronte al ragazzo in uno stato di agitazione scombussolante e le uniche parole che riuscì a dire furono, ciao, mi chiamo Do Do Donato; Antonio lo guardò con aria serena e divertita e rispose, hola amigo, te gusta mi musica ? ma senza attendere risposta riprese a suonare quasi incurante, questa cosa tranquillizzò Donato che si sedette accanto a lui fiero di questa prima battaglia con se stesso vinta. Passò così un’oretta, Antonio continuava a suonare, Donato seduto accanto ad Antonio con il suo sguardo da cucciolo impaurito cercava di sostenere lo sguardo verso i passanti curiosi che si fermavano ad ascoltare per qualche minuto la musica di Antonio. Ormai si era ripresa, la depressione era solo un ricordo, i problemi col cibo superati, a quell’ultimo ultimo esame mancavano solo due giorni, tutte le paure e le difficoltà per affrontare l’ultimo esame erano perfettamente sotto controllo, aveva promesso alla nonna di prendere come tutti gli altri esami un bel trenta e di laurearsi entro sei mesi, Alice voleva un bene immenso alla sua nonnina di cui portava pure il nome e per nulla al mondo l’avrebbe delusa. Nonna mi concedo due giorni di carnevale, torno, affronto l’esame, distruggo le mie paure e nel giro di sei mesi potrai parlare alle tue amiche di questa nipote “dottoressa” a cui vuoi tanto bene. Trascinando il suo trolley era arrivata a campo San Trovaso, si sedette di fronte a due ragazzi che suonavano, tirò fuori il suo portatile, voleva controllare le mosse degli altri giocatori in quella che era la partita dell’anno sul suo video gioco on-line  preferito, si perché Alice era una gran appassionata e notevole giocatrice di video giochi fantasy on-line, giusto per tener sotto controllo il tutto. Nel frattempo i passanti curiosi erano aumentati notevolmente, nell’aria l’allegria data dal carnevale era palpabile, tutti erano allegri e generosi. Donato spinto dal suo innato senso degli affari senza chiedere il permesso ad Antonio aveva poggiato per terra il suo cappello che si stava riempiendo velocemente di monete e carte lasciate da ignoti personaggi travestiti da moretta, gnaga, bauta, pantalone e via discorrendo. Antonio con gesto del capo attirò l’attenzione di Donato, gli strizzò l’occhio e sempre con un gesto del capo gli fece segno di guardare la nuova arrivata che smanettava sul computer. Mora, capelli corti, colore degli occhi indefinibile, gonna quasi viola, spacco fino a metà gamba, calze pesanti quasi viola e nere a righe verticali, camicetta bianca, cappotto nero e un piccolissimo neo al centro della guancia sinistra che pareva disegnato da un ritrattista. Non appena Donato ebbe finito di guardarla rigirò il viso verso Antonio, gli sorrise e con la mano chiusa a mimare il pollice recto gli disse “bella”, e con questo piccolo siparietto si creò complicità tra i due ragazzi. I lampioni pian piano si stavano accendendo, Antonio concluse l’ultima canzone, il piccolo pubblico dopo un mini applauso finì di riempire il cappello di Donato con offerte generose, l’ultima spettatrice rimasta era la mora col computer che si stava avvicinando al cappello ma Antonio la bloccò subito dicendole che lei era loro ospite e non avrebbero accettato offerte da lei, ormai Antonio parlava al plurale come se si fosse creato un “duo” in quelle poche ore. Le chiese indicazioni su dove trovare un ostello della gioventù perché i due ragazzi non avevano un tetto per quella notte, lei sorridente e carina rispose che se volevano potevano seguirla anche perché lei stessa ci stava andando a quell’unico ostello che si trovava in un isolotto vicinissimo chiamato la giudecca. Nel tragitto parlarono di cose futili, Donato balbettava e arrossiva come al solito ogni qual volta riceveva una domanda a cui doveva rispondere mentre trascinava il trolley di Alice da buon cavaliere, Antonio era preso dalla bellezza della città e prestava poca attenzione ai discorsi, Alice si era assunta a ruolo di cicerone conoscendo bene la città che frequentava fin da piccola. Arrivati all’ostello scoprirono come era più che logico aspettarsi, dalla risata ironica dell’addetto all’accettazione, che non c’era la disponibilità di neanche un buco microscopico e manco a pagarlo a peso d’oro. Non si persero d’animo i ragazzi, tornarono in città e iniziarono a battere tutti gli alberghetti palmo dopo palmo, la scena era questa, Alice entrava, i due ragazzi aspettavano fuori, Alice riusciva scuotendo la testa e passavano all’albergo successivo. Al decimo o dodicesimo tentativo, ormai avevano perso il conto, videro uscire Alice con un sorriso a settantadue denti. Gli spiegò che entrata nella hall il receptionista era occupato al telefono con un cliente che gli stava dando disdetta di una camera matrimoniale con due letti a castello e che se volevano potevano prenderla, a patto che a loro andasse bene dividere la stanza. Antonio fece cenno di si, Donato pure, Alice tornò dentro e disse che per loro andava bene. Entrati in camera, lasciati i bagagli i due ragazzi trovarono giusto ridiscendere nella hall, come due cavalieri gentiluomini senza armatura, per lasciare la giusta privacy ad Alice pregandola non appena pronta di avvisarli affinché anche loro potessero lavarsi e cambiarsi. Si sentivano bene ed erano allegri, iniziarono la loro serata girando per locali, Antonio aveva proposto di mettere a disposizione il suo incasso a patto che loro pagassero la stanza, bevevano, chiacchieravano e se ne andavano in giro senza meta, ad un certo punto Alice prese sotto braccio i due suoi cavalieri, si accodarono ad un fila fuori da un’abitazione e con tanta indifferenza e faccia tosta riuscirono ad imbucarsi in questa casa molto bella e piena di gente. Donato non credeva a quello che stava succedendo e continuava a dire ad Alice sei una gra  gra grande, Antonio invece, più scaltro, si limitò ad apostrofarla “guapa”. Stasera offro io ragazzi, tanto paga la signora, fu la battuta di Alice prima proporre una gran bevuta a sbafo. Ballavano e bevevano, bevevano e ballano, Donato era quasi storto dall’alcol, Alice era bella che andata, Antonio decise che era arrivato il momento di tornare in albergo anche perché stava diventando difficile contenere Alice, la sua allegria, i suoi balli sensuali e le provocazioni involontarie che rivolgeva agli ospiti della festa e con non poco sforzo riuscì a trascinare fuori dalla casa i ragazzi. Tornarono in albergo tutti e tre abbracciati anche perché Alice non riusciva a mantenere una linea retta mentre camminava e cantava a squarcia gola, Donato par par parl parlava da solo, Antonio continuava a ridere più per il divertimento che i ragazzi loro malgrado gli stavano offrendo che per i fumi dell’alcol. Misero nel lettone Alice, Donato si impossessò del letto inferiore e Antonio salì un pò traballante sul letto superiore del letto a castello che c’era in camera. Dopo qualche minuto nel buio totale della camera Donato ad alta voce disse ad Alice, sei una donna tremenda, Alice che non stava ancora dormendo rispose anche lei ad alta voce, lo so me me me me lo dicono sin sin sin da piccola, ci fu giusto un attimo di gelo ma subito dopo scoppiarono tutti e tre in una fragorosa risata convulsiva fino a farli addormentare. Nella sala colazioni il mattino successivo i due ragazzi un po’ sfatti e con i postumi della sbornia aspettavano Alice per accompagnarla alla stazione, chiacchierando si ritrovarono d’accordo di abbandonare anche loro Venezia, per non rovinare quelle magiche ore che avevano trascorso insieme e così fecero. Arrivati in stazione prima di salutarsi Antonio regalò agli altri due un tau, la croce di legno di San Francesco, Donato non riuscì a parlare per la forte emozione datagli dalla gioia, Alice li strinse in un unico abbraccio e senza dire niente si avviò al suo treno.
Donato dopo aver vinto la sua timidezza fece anche un corso di autostima e aprì un negozio di musica…
Alice si presentò all’esame, demolì i professori e le loro domande, si laureò centodieci e lode con bacio accademico, ora insegna in una università americana…
Antonio dopo circa un anno tornò nella sua Compostela, dopo tanto viaggiare come il pastorello di Coelho, capì che quello era il posto dove avrebbe voluto vivere per sempre…

Gamberi in foglie di limone
Ingredienti:
12 gamberoni freschi
24 foglie di limoni non trattati
24 stuzzicadenti
Sale
Pepe
Preparazione:
Cogliere da un albero di limoni non trattati 24 foglie belle grandi, lavarle accuratamente sotto un getto di acqua calda e tenerle da parte.Lavare e sgusciare i gamberoni, lasciando loro la testa e la coda.Su un tagliere di legno poggiare una foglia di limone con la parte concava verso l’alto e inserire un gamberone più corto della lunghezza della foglia, condirlo con sale e pepe, richiuderlo con un’altra foglia con la parte concava questa volta verso il basso; tenere ferme le due foglie e infilzarle con due stuzzicadenti sulle parti laterali tale da tenere ben bloccato il gamberone all’interno.Infornare e cuocere per 10 minuti in forno a 180°
Vino: con questo piatto io nei calici versereiun bianco malvasia del Carso.


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