Magazine Diario personale
Cuba si affrancò dalla secolare dominazione spagnola nel 1898, dopo una lotta protrattasi per ben cinquant'anni. Anche in quella lunga e sanguinosa vicenda lasciò, come vedremo più avanti, una traccia inconfondibile Giuseppe Garibaldi.
La guerra di redenzione cubana ebbe caratteristiche ben precise. Un primo periodo, dal 1848 al 1868, fu contrassegnato da cospirazioni e da sporadici tentativi insurrezionali, tutti duramente repressi. Lasciarono la vita sul patibolo o di fronte al plotone di esecuzione numerosi patrioti, soprattutto studenti e intellettuali, e tra essi i poeti Gabriel de la Concepción Valdes, Augusto Zenea e Pedro Figeredo. Il generale venezuelano Narciso Lopez, già distintosi nella guerra carlista, si era stabilito a Cuba nel 1848; capeggiò le rivolte di quell'anno, del '50 e del '51 finché, caduto prigioniero, venne giustiziato dagli spagnoli.
In seguito la lotta per l'indipendenza assunse gli aspetti di una guerra vera e propria, nel cui quadro si distinguono tre fasi. La prima iniziò nel 1868 con la insurrezione di Yara, e si concluse dieci anni dopo col momentaneo successo dei dominatori. La seconda fase si accese nel 1880 e si esaurì nel breve arco di dieci mesi: furono ancora gli spagnoli ad avere la meglio. La terza e decisiva fase prese avvio nel 1895, dopo che il poeta José Martí — che doveva cadere in combattimento — aveva fondato negli Stati Uniti il partito rivoluzionarlo cubano ispirato ai princìpi mazziniani. Nel 1898 la bandiera spagnola veniva ammainata a L'Avana.
La giovane repubblica rese onore ai suoi eroi: i già ricordati poeti, i generali Maceo, Masó, Agramonte e inoltre — citiamo a caso fra i tanti — Mateo Casanova, Serafino Sánchez, Pio Rosado, Betancourt, i sette fratelli Aguirre, tutti morti in battaglia. Pari riconoscenza il popolo cubano dimostrò nei riguardi dei volontari di altre nazioni che si erano battuti per la sua causa. Tra essi, accanto a Narciso Lopez, primeggia la figura del condottiero dominicano Máximo Gómez, fratello della Loggia "Cuna de América"; sono pure degni di menzione lo statunitense O'Ryan, il polacco Roloff, e diversi inglesi, francesi, ungheresi, cileni e anche alcuni liberali spagnoli.
Il contributo più notevole, di sacrificio e di sangue, fu però quello offerto dagli italiani. Nostri connazionali parteciparono alle prime rivolte. Alcuni italiani si batterono nel 1870 a Las Tunas, dove cadde il giornalista siciliano Achille Aviles. Nel 1880 il garibaldino Natalio Argenta divenne famoso per la sua audacia; catturato dal nemico affrontò il plotone di esecuzione con tale spavalderia da lasciare stupito il capitano spagnolo Saracho.
La notizia, diffusasi nel mondo all'inizio del 1895, che i cubani si accingevano ad insorgere ancora una volta, suscitò in Italia una enorme emozione. Venne costituito il "Comitato pro Cuba", di cui furono animatori Ettore Ferrari, Giovanni Bovio, Salvatore Barzilai, Federico Gattorno, Felice Cavallotti, Antonio Fratti, Ferruccio Tolomei e Felice Albani. Nella propaganda e nella raccolta di mezzi per la causa cubana si adoperarono anche diverse nobili figure femminili, quali Adele Tondi Albani, Maria Montessori, Debora Gorga, Paolina Fontana Mauro. Nella guerra 1895-1898 si posero in luce il colonnello Guglielmo Petriccione, Alfonso Cancellieri, Francesco Lenci, Ugo Ricci, Francesco Pagliughi, Oreste Ferrara, che assunse la cittadinanza cubana attingendo ad alte cariche culturali, politiche e diplomatiche. Ma il maggiore esponente della presenza italiana a Cuba in quel periodo fu Francesco Federico Falco, medico, fratello di Loggia di Ettore Ferrari. Fu nominato comandante in capo del corpo di sanità dell'esercito di liberazione. Quando partì dall'isola per il rientro in patria gli vennero tributati onori solenni. La Assemblea nazionale de L'Avana inviò alla nostra Camera dei Deputati l'Albo storico della rivoluzione cubana, in cui si elogia l'azione di Falco e si esprime la gratitudine della giovane repubblica verso la "gloriosa nazione dell'Arte".
Riportiamoci a Giuseppe Garibaldi. Egli fu anche per i cubani il nume tutelare per l'intera durata della estenuante guerra. Ma non solo: era stato Lui ad accendere la fiamma della lotta armata nell'isola, con una temeraria missione compiuta prima di rientrare in Italia dall'Uruguay.
Egli si era infatti recato a Cuba segretamente per crearvi le basi della insurrezione. L'incontro con i cospiratori locali avvenne a L'Avana, nel retro di una farmacia in via Santo Ignacio. Tra i presenti era Giovanni Arnau, allora giovanissimo, che ne rilasciò una indiscutibile testimonianza cinquant'anni dopo — nel 1898 — quando era assurto al rango di decano dei patrioti cubani. Sulla data dell'episodio, dal grande rilievo storico oltre che ideale, manca una precisa indicazione; essa è tuttavia riconducibile a due ipotesi: dicembre 1847, oppure fine gennaio-febbraio 1848, nel periodo cioè, in questo secondo caso, intercorso tra la partenza da Montevideo di Anita con i figlioletti, e quella di Garibaldi.
Una ricostruzione dell'avvenimento figura in una raccolta di saggi di Francesco Federico Falco, curata da Foscaro J. Dassori, è divulgata a New York alla fine del secolo in una ristretta cerchia di iniziati. Anche il cattedratico cubano Fernando Ortiz lo descrive in una sua monografia pubblicata nel 1909. Egli lo colloca, pronunziandosi però in chiave del tutto presuntiva, nel 1851 (cioè durante il secondo soggiorno di Garibaldi in America) in coincidenza con un viaggio commerciale, con probabile (mai però accertato) scalo a L'Avana, che l'Eroe effettuò in quell'anno nel mar dei Caraibi sotto il falso nome di Joseph Pane. Questa tesi però non regge: proprio in quei giorni Narciso Lopez guidava la sua terza rivolta, e non è pensabile che Garibaldi anziché portarsi nel teatro della lotta sbarcando in una zona deserta del litorale, facesse scalo nel sorvegliatissimo porto della capitale, ben sapendo per giunta che il ministro di Spagna a New York seguiva costantemente, e con preoccupazione, le sue mosse.
La missione a Cuba avvenne quindi per certo nelle circostanze di tempo che abbiamo prospettato. Viene piuttosto da chiedersi perché un episodio tanto sensazionale sia rimasto praticamente ignorato, La risposta non è difficile. Quando Garibaldi compì quella missione, Cuba si trovava sotto il sicuro controllo degli spagnoli, e vi rimase finché l'Eroe fu in vita. Un solo accenno avrebbe potuto compromettere i patrioti cubani ancora operanti nella clandestinità. Per tale motivo Garibaldi non ne fece menzione nelle sue Memorie, in alcuna altra occasione; i biografi, che alle sue pagine si riferirono, ne furono quindi all'oscuro. Solo negli ultimi anni del secolo, quando l'indipendenza di Cuba divenne realtà, l'episodio fu portato alla luce.
José Martí, pochi giorni prima di morire, scrisse:
"Dalla Patria, come da una madre, nascono gli uomini. La Libertà, madre del genere umano, ebbe un figlio: quegli fu Giuseppe Garibaldi".
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