“Voglio diventare ricca e famosa”.
“In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes”. Così profetizzò Andy Wahrol nel 1968: ognuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità. Senza stare tanto a specificare in che modo la gente in questi anni abbia deciso di guadagnarsi questo quarto d’ora (c’è chi sceglie di aggiudicarsi la prima pagina della cronaca nera, ma di questo ne parlano già abbastanza alcune testate decisamente note del nostro Paese…), all’italiano medio credo importi più la fama, perchè poi la ricchezza viene di conseguenza, mentre al contrario, uno può anche diventare ricco ma senza essere un personaggio conosciuto dal grande pubblico.
Torniamo indietro di una decina d’anni circa, quando venne trasmessa la prima edizione del Grande Fratello: una decina di signori nessuno vengono improvvisamente sottoposti ad un tre mesi di telecamere 24 ore su 24. Forse l’unica edizione dove davvero i concorrenti erano “veri”: essendo i primi forse non potevano quantificare il grado di celebrità che avrebbero raggiunto, usciti dalla casa. Negli anni, molti di quei signori nessuno sono poi tornati ad essere dei signori nessuno, ma alcuni hanno guadagnato una ingiustificata e sopravvalutatissima fama: prime pagine dei rotocalchi, serate nei locali alla moda, partecipazione a talk show, piccole parti in film o telefilm, ecc…I concorrenti del Grande Fratello sono a tutti gli effetti Vip e in quanto Vip, sono ricchi. Tralasciando fenomeni come Luca Argentero e il povero Pietro Taricone che sono poi emersi come attori, avendo delle capacità, gli altri sono perlopiù personaggi che passano da uno studio televisivo ad un altro e da un reality ad un altro, così, per far passare la giornata.Ma per alcuni, la vita dei concorrenti del Grande Fratello è il sogno. Per Luciano ad esempio, protagonista di Reality, film di Matteo Garrone vincitore, meritatamente, del Grand Prix de Cannes: da come guarda trasognato Enzo, concorrente partenopeo del Grande Fratello, ora prezzemolino dei matrimoni più in pompa magna che esistano in tutta Napoli e Provincia, si evince il suo desiderio recondito di essere come lui, così osannato, così ammirato da tutti. Lui che di simpatia ne ha, di personalità anche, forse molto più di Enzo, ma che per il momento si limita a fare il pescivendolo e a tempo perso la Drag Queen per fare un po’ scena alle cerimonie. Certo che un’eventuale partecipazione al reality più famoso d’Italia lo farebbe entrare nell’Olimpo: non avrebbe più bisogno della Pescheria e nemmeno delle piccole truffe condotte tramite false vendite di “robottini” multifunzione domestici. Incitato dallo slogan di Enzo, “never give up”, non mollare mai, non abbandonare mai i tuoi sogni, Luciano ci prova e arriva alla seconda selezione. L’illusione ormai è in atto e l’aspettativa della terza e ultima chiamata, quella definitiva che decreterà ufficialmente il suo ingresso nella casa, diventa una vera e propria ossessione, una malattia. Esagerazione? Falsificazione di stereotipi italiani? Credo che Matteo Garrone ci abbia già ampiamente dimostrato la sua capacità di delineare ritratti spietatamente italiani, ma questa volta la sua maestria è andata oltre, oltre Gomorra: il film è un continuo altalenarsi di momenti estremamente comici, grotteschi e situazioni amare, sinceramente commoventi. Il personaggio di Luciano intenerisce quasi, poichè il suo intento è comunque lo stesso di tanti di noi: sistemarsi nel modo più veloce e semplice possibile, vivere agiatamente, essere l’idolo di tutti, conferire importanza alla propria famiglia. La strada del sacrificio è ormai superata, la vita ci insegna a cercare le vie più brevi: questo è il popolicchio, questa è l’Italia, che ci piaccia o no, non è altro che quello che siamo e abbiamo voluto essere, sempre. La profondità dei personaggi, il loro profilo psicologico, emerge semplicemente da questi sguardi, lunghissimi, sui quali il regista si sofferma; spesso non servono parole per capire quanto possa essere importante per un uomo l’applauso corale dei vicini di casa che lo accolgono al suo ritorno da Roma, quanto un eroe di guerra al rientro dall’Afghanistan. L’atmosfera è quasi fiabesca, un racconto di una favola: c’è tanto Tim Burton, in tutto questo, ma anche tanto Fellini, il maestro del sogno, delle situazioni oniriche volutamente ambigue. Il tutto enfatizzato dalla meravigliosa colonna sonora di Alexandre Desplat, già Harry Potteriano, già New Mooniano, abituato quindi a rendere l’idea della vita magica, come lo può essere in questo caso quella vissuta all’interno della casa. Che sia o no magia, realtà o finzione, Luciano poi alla fine ci entra, nella casa, a modo suo. Senza nemmeno avere il timore di essere nominato.
Never give up, Matteo. Never give up.