La morale è che nulla è cambiato del gattopardismo italiano, ma che esso con la crisi è stato costretto ad accelerare in maniera vertiginosa per compensare i guai che esso stesso crea, per mantenere sulla linea di galleggiamento una classe dirigente appesantita dal piombo di decenni di errori. Così dall’Ulivo di Prodi si è passati alla fusione fredda del Pd di Veltroni e poi di Franceschini, poi di Bersani e infine di Renzi in una giostra senza fine e senza senso se non quello di un pencolamento verso la destra; così si è passati da in due anni da Berlusconi a Monti a Letta nella speranza che il rapido passaggio sulla scena nascondesse la sostanziale uniformità nell’adeguarsi ai diktat europei più per mancanza di idee che per necessità; così dai 4 schieramenti usciti dalle elezioni ce ne troviamo 11 di cui due , Ncd e Per l’Italia, non hanno avuto alcun investimento elettorale eppure sono essenziali per il governo. Lo zootropio che crea l’illusione del movimento da figurine immobili gira follemente intorno al perno del Colle che infatti si è evitato di sostituire come da tagliando costituzionale per non interrompere il gioco e mostrare le interiora del potere. Tutto cambia e tutto resta uguale, salvo la rappresentatività reale che viene meno di giorno in giorno con inquietanti conseguenze.
Resta da vedere se l’accelerazione ad oltranza del trasformismo non finirà per far schiantare una macchina che già emette cigolii da tutte le parti e che comunque si mostra del tutto inadeguata ad affrontare il dramma del declino. Una cosa è certa il gattopardismo sistematico sta raggiungendo il proprio limite intrinseco nel sistema democratico: può sopravvivere solo in una qualche forma di oligarchia.