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Il tragitto in metropolitana dall'albergo al centro di formazione è corto, soltanto tre fermate, non più di dieci minuti. Eppure se non adotto tattiche da manuale per spedizioni polari rischio di uscire dal vagone muovendomi con il passo impacciato e simmetricamente zoppo del pinguino. O peggio, spanciato come un tricheco maschio adulto.
E allora, sotto lo sguardo confuso, attonito e vagamente compassionevole degli altri passeggeri, continuo a scattare da un angolo all'altro, di porta in porta, dal corridoio centrale al soffietto che unisce i vagoni, borbottando la mia frustrazione, imprecando inviperito addirittura, alzando un dito umettato come un pilota di aquiloni alla ricerca della folata giusta, ingegnandomi nello studio della direzione di questi getti di vento antartico alla ricerca di un "angolo cieco", una benedetta combinazione di coordinate che sfugga al fuoco incrociato dei bocchettoni che probabilmente funzionano anche come cannoni da neve. Inutilmente, perché dovunque mi nasconda ce n'è uno che mi centra tra nuca e spalla, ghiacciandomi in pochi secondi un numero insopravvivibile di vertebre. Esco dal convoglio immancabilmente sconfitto. Alle volte pinguino. Altre tricheco.In hotel non va molto meglio. Appena arrivato, per due giorni ho condotto un'insensata rivolta idealista contro il sistema. Quello di climatizzazione d'aria intendo. Potenza al livello minimo e rotellina del termostato rivolta come un girasole verso il caldo, a tirare spallate contro il fondo scala: un piccolo 30 che pensavo stesse a rappresentare i gradi centigradi. In realtà devono essere quelli Fahrenheit(*), o magari si tratta effettivamente di scala Celsius, dal lato sbagliato dello zero però. Ho anche fatto presente alla reception che ero stato costretto a trovare rifugio all'interno del frigo-minibar per arrivare in vita alla fine della prima notte. "Certo signore, provvediamo subito!" Ma se variazione c'è stata il mio corpo non l'ha rilevata. Chissà, forse durante le prime ore di acclimatamento ho compromesso irrimediabilmente la sua sensibilità termica. Poi, quando ho notato che tra armadio e tavolo una stalattite e una stalagmite si stavano per congiungere, mi sono deciso. Ho spento il condizionatore, ho atteso un tempo sufficiente affinché l'effetto del ciclo inverso svanisse e quando ho notato che la temperatura era perfetta (anzi, ancora di un pelino sotto quella ideale) non l'ho più riacceso. Non capisco questo miracolo della termodinamica: fuori fa un caldo torrido, mentre dentro aleggia un'atmosfera da tersa serata primaverile, con l'aria condizionata spenta. Non posso permettermi di abbassare la guardia però, perché ogni qualvolta entro in stanza e inserisco la key-card nell'apposita toppa il "generatore di ecosistema invernale" si aziona automaticamente e io devo fiondarmi senza esitazioni a disattivarlo. Una minima svista può costarmi cara. La comparsa di un velo fitto di muschi e licheni sulla moquette è il segnale della catastrofe imminente. Cinque minuti di ritardo equivalgono a una valanga himalayana di diarrea. Altri cinque minuti: geloni. A quel punto ormai sono incollato per mezzo di uno spesso strato di ghiaccio alla tazza del water e osservo impotente il paesaggio che cambia attorno a me: il tappo di diarrea ha acquisito la durezza della superficie di un lago dello Yukon in pieno inverno, evocando così alcune delle scene più pittoresche delle storie artiche di Jack London, mentre una spolverata di brina di merda sta adagiata come praline di cioccolato su quella che è porcellana da cesso ma potrebbe essere benissimo un semifreddo alla vaniglia. Un asciugamano stropicciato si è trasformato in un pupazzo di neve. Io sto diventando un pupazzo innevato. Il fiotto di pipì che avevo cominciato a emettere si è congelato a mezz'aria come il Perito Moreno. Immortalato così in questa posa da presepio nordico non posso impedire che abbia inizio l'inevitabile escalation: a scatti regolari di cinque minuti perdo due dita dei piedi per congelamento, poi se ne vanno anche quelle delle mani. Una volta esaurita la serie di appendici sacrificali che mi è stata concessa come bonus per placare la sete di caldo sangue del dio del ghiaccio arriva inesorabile l'epilogo: perdita di coscienza per assideramento e ibernazione finale a beneficio di studi paleontologici che verranno condotti da generazioni future, da specie che ci succederanno o magari, chi lo sa, persino da altre forme di vita calate sulla terra dopo la nostra scomparsa. Scomparsa dovuta alla vittoriosa rivolta contro i loro creatori di una stirpe di avanzati e sofisticati impianti per il condizionamento d'aria. Non appena entro in stanza quindi, ci fosse anche Claudia Cardinale ridiventata ventenne e stesa nuda sul letto in una posa da prime seghe, la prima cosa che faccio è gettarmi sul comodino su cui giace la centralina dei comandi e disinnescare il congegno che sta per dare il via alla prossima era glaciale. Una volta salvato il mondo mi volto verso Claudia per ricevere il suo doveroso sorriso di riconoscenza, quello che prelude alla scena che non va in onda né in prima né in seconda serata, farcita di tutte le ricompense che una figona del suo calibro deve per contratto a un eroe del mio. Lei però è sparita, o forse, statua di ghiaccio, si è soltanto liquefatta quando impavido, con uno scatto ferino, ho manomesso il controllo della temperatura del museo frigorifero.
Anche per stasera sarà quindi intrattenimento fai da te. Non c'è problema: per chi vigila a tempo pieno sull'equilibrio termico del mondo le notti solitarie non sono una novità.
(*) Pari a -1,11 gradi Celsius
Foto "The Ice Hotel" di nate2b (CC)
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