La triste vicenda di Norman Zarcone, dottorando della facoltà di Lettere di Palermo che si è suicidato gettandosi dal settimo piano della sua facoltà, ci obbliga a porci qualche domanda. Soprattutto in relazione alle parole del padre che ha affermato che il figlio sarebbe vittima di un sistema che uccide la speranza e limita le prospettive future, un mondo in cui sono i giovani a perderci. È lecito quindi chiedersi quali sono le aspettative dei giovani dottorandi dell’ateneo di Catania e se si avverte un vuoto dovuto all’incertezza sul futuro.
Gran parte dei dottorandi sono giovani, e affrontano questo percorso di specializzazione in maniera diversa l’uno dall’altro. Daniele Cianciolo è al terzo anno del dottorato in ingegneria dei trasporti e si dice felice del suo percorso di ricerca. «Ho deciso di fare il dottorato perché affascinato dalla possibilità di fare ricerca. Sono estremamente soddisfatto sia sul piano lavorativo che personale. È importante trovarsi bene con il tutor e con i colleghi, io ho avuto questa fortuna». La sua esperienza non può che giudicarsi positiva, e riguardo al futuro il suo ottimismo non si esaurisce: «non so cosa farò alla fine del dottorato, mi piacerebbe continuare a fare ricerca all’università magari con una borsa post dottorato ma non è detto che non decida di prendere in considerazione altre proposte se ne dovessero arrivare. Le possibilità ci sono, anche se potrebbe essere necessario spostarsi». Se l’esperienza personale non può che ritenersi soddisfacente non manca di certo qualche appunto da fare al sistema. «In molti dipartimenti si può fare buona ricerca in altri meno. Ovviamente anche noi avvertiamo la crisi del sistema universitario e se i fondi per la ricerca sono pochi siamo i primi ad essere penalizzati e in questo caso non sempre dipende dall’ateneo ma dall’intero sistema universitario», conclude Daniele.
Più critico è un dottorando di ingegneria idraulica, Antonio Castano, che frequenta un dottorato internazionale studiando a Catania e Lione. «La mancanza di risorse adeguate ci penalizza non poco, spesso è difficile partecipare anche ai convegni. La ricerca risente molto della mancanza di fondi. Aldilà di queste difficoltà sono molto contento del contesto in cui studio». Antonio apprezza la vivacità del mondo universitario e anche se non ha ancora chiaro cosa farà a conclusione di questo ciclo non perde la speranza. «Non sono interessato alla carriera accademica e so che spesso l’alta specializzazione che deriva dal dottorato può essere d’ostacolo per l’ingresso nel mondo del lavoro, ma questo non mi preoccupa so che troverò la mia strada». Antonio prova anche a dare un consiglio per migliorare questi percorsi di ricerca: «Credo si debba puntare sempre più sulla formazione all’estero e aumentare le borse. Fare il dottorato senza borsa è difficile, non si riceve nulla e si pagano pure le tasse».
Decisamente meno contento è un dottorando che preferisce rimanere anonimo. «Questa è una “carriera” priva di grandi prospettive che ho scelto più per motivi di opportunismo che per altro. Stavo studiando per altri motivi le materie oggetto del dottorato, ho deciso di provarci ed è andata bene. Il mio compito è quello di preparare una tesi triennale, su cui si fonda la mia attività di “ricerca”, ma a volte mi trovo a svolgere attività che non rientrerebbero nelle nostre mansioni». Insomma, un dottorando quasi per caso e non molto convinto. «Non credo continuerò a percorrere questa strada dopo il dottorato. Non guardo al futuro da professore, adesso penso solo che ho iniziato un percorso e voglio portarlo al termine».
Come era prevedibile le esperienze dei dottorandi sono di diverso tenore e vista la giovane età non possono avere un quadro generale della situazione d’ateneo, quadro che però ci può aiutare a dipingere qualche professore. «È un periodo difficile per tutti i giovani, non solo per i dottorandi» precisa subito il professor Giovanni Gallo che incontriamo insieme al professor Domenico Cantone, entrambi sono coordinatori di dottorato alla facoltà di Informatica. «Il dottorato non viene coronato solo con l’insegnamento, al momento l’università non ha le risorse per assorbire tutti i dottorandi e per questo cerchiamo di dare una formazione che possa essere spendibile anche nel mondo del lavoro. Il nostro settore offre buone possibilità di occupazione, anche se spesso bisogna spostarsi», ci racconta il professor Cantone. I due prima di diventare docenti sono stati dottorandi all’estero e lì hanno fatto loro alcune best practices che sono alla base del loro lavoro. «Noi diamo massima libertà allo studente. È lui a scegliersi il tutor liberamente in base al campo di interesse, o perché ci ha già lavorato. Non ci preoccupiamo nemmeno se scelgono docenti fuori dal nostro collegio. Per noi rimane importante il progetto e la ricerca», aggiunge Cantone.
La libertà agli studenti e la meritocrazia che per i due docenti è alla base permettono di trovare un buon equilibrio all’interno del loro gruppo di lavoro ma non manca qualche elemento che lascia i professori con l’amaro in bocca. «Molti li perdiamo, vanno studiare all’estero e poi non tornano, così la nostra formazione va a beneficio di altri», dice a malincuore il professor Gallo.
Dalle loro parole si capisce che la situazione italiana non è rosea e che la fuga all’estero è un trend in crescita da circa cinque anni. «All’estero situazione è totalmente diversa, si trovano ottime posizioni con buone retribuzioni -aggiunge Cantone- per noi è un po’ frustrante perdere validi giovani, se tornano siamo molto contenti. Noi stessi siamo contenti di essere tornati».
La mobilità tra gli studenti potrebbe essere vista come un segnale di vivacità ma se molti studenti catanesi decidono di andare all’estero, molto pochi sono quelli che scelgono di studiare a Catania. «Il sistema così non va, mancano le risorse economiche per trattenere le migliori risorse umane. Per migliorare la situazione sono necessari altri fondi e una migliore gestione di quelli attuali. In più il mercato della formazione deve guardare di più al mondo del lavoro, per capire il bisogno di formazione del territorio. L’università deve essere autonoma ma non isolata, deve guardarsi intorno», afferma Gallo.
Ai due docenti chiediamo se queste difficoltà e l’incertezza del futuro possano essere causa di problemi emotivi per alcuni dottorandi e se credono che i docenti possano fare qualcosa per loro. «Noi ci occupiamo di scienze sperimentali e siamo costretti a lavorare insieme con gli studenti, se uno sta male, per qualsiasi motivo, te ne accorgi e allora provi a fare qualcosa. Mi sembra il minimo» dice Gallo. In altri ambiti però il tutor e il ragazzo si vedono meno e lì diventa più difficile capire se ci sono momenti di scoramento. «A me è capitato di avere tra i dottorandi un ragazzo depresso. Era una persona molto intelligente e aveva vinto una borsa per studiare all’estero, lo sapevo fragile e ci sentivamo spesso. Capì che viveva uno stato di disagio, credo pensasse al suicidio, per questo contattai la famiglia. Insieme ai genitori e ai tutor dell’università in cui studiava siamo riusciti ad aiutarlo a superare quel periodo difficile», conclude Cantone. Un lieto fine che purtroppo a Catania non c’è stato.
Dottorati a Catania, alcuni numeri
Il dottorato di ricerca è un titolo accademico post-laurea, l’accesso è regolato da un bando di concorso a cui possono partecipare gli studenti in possesso di una laurea specialistica. Quasi tutti i dottorati hanno durata triennale e danno la possibilità di svolgere la metà di questo percorso di ricerca all’estero. Una parte degli ammessi può godere di una borsa di studio di circa diecimila euro l’anno che aumenta in casi di soggiorno all’estero. Attualmente presso l’ateneo di Catania sono attivi 116 dottorati per il XXV ciclo a cui si aggiungono i 104 e i 102 dottorati del XXIV e XXIII ciclo.