La mia deformazione personale non poteva non condurmi nel quartiere etnico di Genova: Via di Prè. Posizionata a lato del Porto Antico (zona nota per la presenza dell'Acquario), questo piccolo quartiere è ciò che resta dell'antico borgo genovese. Il suo nome, dovuto alla presenza in passato di prati, sembrerebbe oggi un ossimoro troppo grande da sopportare e da accettare.
Via di Prè
Nonostante i dintorni genovesi presentino un evidente ripresa urbanistica, dovuta principalmente al notevole afflusso di turisti, oggi Via di Prè resta ancora molto indietro. Quasi volutamente.Via di Prè non è una strada di passaggio. Per le persone del posto è una zona off-limits. Ciò è dovuto non solo al degrado e alla presenza di edifici fatiscenti, ma alla nomea (cattiva fama) che si porta avanti da tempo immemorabile.
Prostituzione. Case di tolleranza. Contrabbando. Sono queste tre parole che descrivevano Via di Prè nel secondo dopoguerra e negli anni del boom economico.
A oggi non posso dire che le cose siano cambiate, io proprio non posso saperlo. Ma mentre passeggiavo con il naso puntato all'insù verso le insegne dei vari negozi, ho provato delle sensazioni diverse.
Le Tajine
Questo vicolo stretto, fatto di piccole salite e discese, è un'area esclusivamente pedonale. La sensazione è stata quella di ritrovarmi in un piccolo ghetto, vissuto da persone differenti in una città dove la differenza viene subito notata e schivata.Una zona abbandonata a se stessa, ai suoi rumori, ai suoi abitanti e ai suoi frequentatori occasionali.Perfino i raggi del sole sembravano non volere, o non riuscire, a penetrare in questa zona della città tanto da ritrovarsi con una luce molto fioca alle 16 del pomeriggio!
I cartelli che indicano questa strada riportano scritte semplici: Ethnic Shops. Botteghe etniche. Ristoranti tipici.
Si può mangiare kebab ad ogni ora!
Specialità dal mondo. Macellerie islamiche. Vetrine piene di Tajine. Frutta e verdure esotiche. Kebab. Cous cous. L'aria era intrisa del profumo di spezie e miscugli di salse.E poi, ancora, negozi di abbigliamento afro-americano. Negozi stipati, stretti. Pieni zeppi di merce tanto da rendere difficoltoso a un occhio inesperto la possibilità di ritrovare i prodotti cercati/desiderati. Un caos di informazioni e di culture concentrate in un'unica piccola strada. Un mondo dentro un altro mondo.Mamacita's Taqueria
Non so in quanti riusciranno a capire quello che veramente sto cercando di trasmettere. Io mi sento di appartenere a un mondo così. Caotico. Confusionario. Colorato. A una globalità intesa come una moltitudine di interazioni sociali. Una realtà piena di colori, di lingue di culture diverse.Mentre continuavo la mia "esplorazione" in Via di Prè, le persone mi guardavano. Ma non come si può guardare un passante, ogni giorno, passare davanti a casa nostra. Mi sentivo puntati addosso gli occhi di chi ti osserva e si domanda cosa ci fai lì.
In quel preciso posto, in quella precisa circostanza, ero io la straniera. Ero io la persona sconosciuta e strana.
Si parla tanto di odio razziale. Di guerre. Di scontri. Di diversità. Ma vi siete mai fermati a pensare a cosa vuol dire per un "extra comunitario" abbandonare il proprio paese di origine, il più delle volte anche la propria famiglia, per tentare la fortuna in un altro paese? Vi siete mai chiesti cosa può significare vivere in una città che non è la propria, parlare una lingua fino a qualche settimana prima sconosciuta e, attraverso tutte le altre difficoltà del caso, sentirsi continuamente addosso gli occhi delle gente?Quasi a volerti ricordare che quello non è il tuo posto. Che tu non hai diritto a stare lì. Che tu non hai privilegi. Che tu non sei un uomo o una donna, ma solo un EXTRA COMUNITARIO ???Rifletteteci sopra.
Lo straniero è tale e tale sempre si sentirà in posti in cui la differenza tra gli uni e gli altri continua ad essere rimarcata, ogni volta, anche solo attraverso uno sguardo.
" Non è importante il colore della pelle. Siamo tutti uguali. In ciascuno di noi batte un cuore e il sangue è di colore rosso. "