XX
DELL’ISOLA DI HER, DEL CICLOPE E DEL GRAN CIGNO CHE È DI
CRISTALLO.
A Henri de Régnier [20]
L’isola di Her, come l’isola di Ptyx, è composta da una sola gemma, costruita in aggetto di fortificazioni ottagonali, e simile al bacino di una fontana di diaspro. La pianta la indicava con il nome di isola di Hern, poiché è pagana e consacrata a Mercurio; e la popolazione del paese la chiama va isola di Hort, a causa dei magnifici giardini. Faustroll m’insegnò che in un nome va letta solo la sua antica e autentica radice, e che quella che è la sillaba her, come d’un albero genealogico, corrisponde al termine Signorile.
La superficie dell’isola (era naturale che nella nostra navigazione le isole ci paressero dei laghi di terra ferma) è di acqua immobile, come quella di uno specchio; e non si concepisce che vi scivoli una barca, se non come l’affiorare di un rimbalzo; perché quello specchio non riflette le rughe, nemmeno le proprie. Nondimeno vi voga un grande cigno, tal quale il candore di un piumino da cipria, e qualche volta, senza interrompere il silenzio dell’ambiente circostante, batte le ali. Quando il volo del ventaglio si fa assai rapido, attraverso la sua trasparenza si scopre tutta l’isola, ed esso si spande come un getto d’acqua pavonia.
Non v’è esempio che i giardinieri dell’isola di Her abbiano lasciato ricalare un getto d’acqua sul bacino di cui smeriglierebbe la superficie; i ciuffi si stendono a una qualche altezza in una falda orizzontale, come nubi; e i due specchi paralleli del suolo e del cielo sono a salvaguardia della loro reciproca vacuità alla stregua di due calamite eternamente contrapposte.
I costumi generali del paese sono solenni, nel senso in cui nel secolo abolito si diceva consuetudinario.
Il signore dell’isola è un Ciclope, ma noi non dovemmo rinnovare gli stratagemmi di Ulisse. Davanti al suo occhio frontale era sospeso il diadema di due specchi laminati d’argento, addossati l’uno all’’altro in una cornice dei Giano. Faustroll calcolò che la doppia lamina fosse dello spessore esatto di centimetri 1,5 x 10-5. Rifletteva verso di noi la luce come il carbonchio della biscia araldica, e il signore dell’isola, mi disse il dottore, discerneva chiaramente, attraverso, le cose ultraviolette che ci erano interdette.
Egli avanzò a piccoli passi tra una doppia siepe di canne, che si erano tagliate per suo ordine secondo la gerarchia disusata della siringa; i suoi maggiordomi ci servirono dello zucchero e degli spicchi di cedro.
Le sue donne, le cui vesti si spargevano secondo gli ocelli della coda dei pavoni, ci offrirono lo svago di danze sui prati vitrei dell’isola; ma quando sollevarono i loro strascichi per camminare sull’erba meno glauca dell’acqua, come Balkis, da Saba mandata a chiamare da Salomone, scoprì i suoi piedi d’asino nella sala pavimentata di cristallo, alla vista degli zoccoli capripedi e delle gonne di vello, colti dal terrore noi ci gettammo nell’asse ai piedi della scalinata di diaspro, e io tirai i remi, e Bosse-de-Nage tradusse felicemente lo stupore comune:
“Ha ha !” disse; ma la paura, indubbiamente gli mozzò la parola.
E io arretrai lontano dall’isola, abbastanza perpendicolarmente affinché la testa di Faustroll me nascondesse in poco tempo lo sguardo del signore di Her, e, simile alla lente luccicante della vedetta di un semaforo, l’occhio artificiale nella sua orbita di madreperla.
20 Henry de Régnier (1864-1936), poeta e romanziere, è già stato citato da Jarry all’interno dell’opera come l’autore di uno dei “libri pari” del dottor Faustroll, La Canne de Jaspe. Anche il nome dato all’isola di questo capitolo deriva dal fatto che ne La Canne de Jaspe molti personaggi abbiano un nome che inizia con her (Herman, Hermotine, Hermagore, ecc.).
XXI
DELL’ISOLA CYRIL
A Marcel Schwob [21]
L’isola Cyril ci apparve anzitutto come il fuoco rosso di un vulcano, o di un punch di sangue spruzzato per la caduta di stelle cadenti. Poi noi vedemmo che era mobile, corazzata e quadrangolare, con un’elica ai quattro angoli, secondo le quattro semidiagonali d’alberi indipendenti, che la sottoponeva a tutte le direzioni. Noi ci rendemmo conto di averla avvicinata a tiro di cannone, dal momento che una palla portò via l’orecchio destro e quattro denti di Bosse-de-Nage.
“Ha ha !” balbettò il babbuino; ma un cilindro-cono d’acciaio sull’apofisi zigomatica sinistra fece fare dietrofront alla sua terza parola. E senza attendere una risposta più estesa, l’isola cinetica issò la testa di morto e il capretto, e Faustroll lo stendardo della Grande-Gidouille.
Dopo questi salutati reciproci, il dottore bevve con gioia del gin con il capitano Kid, e riuscì a dissuaderlo dall’incendiare l’asse (che era, malgrado la sua vernice di paraffina, incombustibile) e dall’impiccare Bosse-de-Nage e me stesso al grande pennone, dopo averci spogliati, perché l’asse non aveva il grande pennone.
D’intesa si pescarono scimmie in un fiume, con smascellato orrore di Bosse-de-Nage, e noi visitammo l’interno dell’isola.
Dato che il bagliore rosso del vulcano abbacina, non si riesce a vedere più se non in una oscurità senza riflesso, ma per seguire l’opaca ondulazione della lava abbagliante, vi sono dei bambini che percorrono l’isola con delle lampade. Nascono e muoiono non invecchiando in tronconi di chiatte tarlate, sulla riva di un’onda color verde bottiglia. Le abat-jour vi errano alla maniera dei granchi glauchi e rosa; e, più avanti nelle terre dove noi ci rifugiammo al più presto, a causa delle belve marine che funestano la sabbia del riflusso, dormono le loro umbelle color del tempo. Le lampade e il vulcano esalano una livida luce, come il fanale sinistro della barca dei limbi.
Dopo aver libato, il capitano, rallegrandosi sotto i suoi mustacchi ricurvi, col calamo della sua scimitarra d’abbordaggio e con un inchiostro di polvere e di gin, tatuò sulla fronte del nostro mozzo parco di discorsi, queste parole, queste parole blu : BOSSE-DENAGE, CYNOCEPHALE PAPION [22], riaccese la sua pipa con la lava, e diede ordine ai bambini- lucciole di scortare l’asse fino al mare; e l’addio ci seguì verso il largo delle parole di Kid e delle luci sobrie, come delle meduse smerigliate.
[21] Marcel Schwob (1867-1905), scrittore e studioso di letteratura inglese. Jarry in questo capitolo si ispira alle opere di Schwob Vies imaginaires (1896), dove si trovano i personaggi di Cyril Tourneur e del capitano Kid, e Le livre de Monelle (1894).
[22] Questa è la traduzione in francese del nome scientifico del babbuino: Papio cynocephalus.
XXII
DELLA GRANDE CHIESA DI MUFLEFIGUIÈRE
A Laurent Tailhade [23]
Noi sentivamo già le campane, come di tutti i carillon di Brabante, d’ebano, d’acero, di quercia, d’acagiù, di corno e di pioppo dell’isola Sonante, quando io mi vidi tra due muri neri, sotto una volta, poi nell’abbagliamento di una vetrata continua. Il dottore senza degnarsi di prevenirmi, con corde di seta della sua barra aveva incoccato l’asse nel mezzo del grande portale della cattedrale di Muflefiguière. Sui lastroni della navata, alla quale la nostra barca fu simmetrica, i miei remi cigolarono come la tosse, prefazione d’attenzione, dei piedi di sedia che viene rimossa.
Il prete Jean saliva sul pulpito.
La terrifica forma guerriera e sacerdotale folgorò l’assemblea. Delle maglie d’usbergo, alternate da rubini balassi e da diamanti neri, tessevano la sua pianeta. A mo’ di paternostri, dondolavano sulla sua anca destra une ghironda in legno d’olivo, sulla sinistra, la sua grande spada a due mani, innestata in una mezzaluna d’oro nel suo fodero di pelle di céraste.
Il suo sermone fu retorico e alquanto latino, attico e asiatico in tutto il suo complesso; ma io non capivo affatto perché rimbombasse dalle solerette alle manopole, né i periodi ordinati come le riprese d’un torneo cavalleresco.
Tutto ad un tratto, da un falconetto che era legato su uno dei lastroni dall’alto in giù, con quattro catene di ferro, schizzò una palla di bronzo, la cui carica sfondò la tempia destra dell’oratore, scindendo l’elmetto fino alla tonsura, scoprendo il nervo ottico e il cervello in quanto al lobo destro, senza commuovere la fortezza dell’intelletto.
Simultaneamente al fumo del falconetto, un vapore acre uscì dalle gole del popolo e raffigurò per la sua condensazione un mostro spesso ai piedi del pulpito.
Quel giorno io ho visto il Grugno. È discreto e ben proporzionato, completamente uguale a bernardo l’eremita o paguro, come Dio è infinitamente simile all’uomo. Ha delle corna che gli servono da naso e da papille de langue, a guisa di lunghe dita che gli uscissero dall’occhio; due pinze diseguali e dieci zampe in tutto; e, come il paguro, essendo vulnerabile solo alla base, le mette al riparo, insieme al suo sesso elementare, in una conchiglia nascosta.
Il prete Jean sfoderò la sua grande spada e volle assalire il Grugno, con notevole ansietà dei presenti. Faustroll restò impassibile, e Bosse-de-Nage, oltremodo interessato, si smarrì al punto di pensare visibilmente:
“Ha ha !”
Ma non proferì verbo, per paura di oltrepassare il suo pensiero.
Il Grugno indietreggiava, la punta della sua conchiglia per prima, facendo scostare la gente; e le sue pinze biascicavano come delle bocche che barbugliano. La lama sorta sfavillante dal fodero di pelle di céraste, si sbrecciava persino sui peli della carapace delle membra.
Allora Faustroll mise in opera l’asse. Tirando con maggior violenza le sue guide curvò più sensibilmente l’asse; poiché la sua barra non comandava per nulla un timone piatto a poppa, ma centinava, da prora, la lunga chiglia a destra, a sinistra, in alto, in basso, secondo il suo proposito di muoversi; e la tela di rame fine fu come il rosseggiare d’una mezzaluna; e nel mentre mi aggrappavo con le mie ventose al caso terso del granito, il dottore mi condusse dal mostro. E all’intorno la nostra navigazione si contorse come l’anello nuziale del bacio di Narciso d’una anfisbena.
Il prete Jean con questo artificio raggiunse agilmente il Grugno, che aveva acquisito qualche vantaggio mentre il suo avversario scendeva i dodici gradini, verso il suo livello; lo colse sulla conchiglia con l’impugnatura forcuta della spada, e gli dilaniò la base in tante parti quante erano le persone presenti nella navata; ma né lui né noi, eccetto Bosse-de-Nage, volemmo gustarne.
E il combattimento sarebbe stato in tutte le sue peripezie l’immagine di una corsa spagnola, se il toro Culo-di-Conchiglia non avesse cercato la stoccata al termine della sua fuga circolare e non in pieno scontro.
Ora il predicatore gemmato risalì sul pulpito, per la sua perorazione. E le pecorelle purgate dall’umore crasso della possessione del Grugno, lo applaudirono.
Quanto a noi, ripartimmo verso le vicine campane dell’isola Sonante, senza che Faustroll consultasse più oltre gli astri, la rotta illuminata dalle proiezio ni, secondo le vie a stella fuori della chiesa, delle alte vetrate versicolori come parole.
[23] Laurent Tailhade (1854-1919), letterato e poeta, fu l’autore de Au Pays du Mufle (1891). Mufle in francese vuol dire “muso di animale”, e in senso figurato “ceffo”, “grugno”.
XXIII
DELL’ISOLA SONANTE
A Claude Terrasse [24]
“Beato il saggio, dice il Chi-Hing, che nella valle dove vive solitario, si allieta ascoltando il suono dei cimbali; solo, nel suo letto, risvegliandosi, esclama: Giammai, lo giuro,dimenticherò la felicità che io provo!”
Il signore dell’isola, avendoci salutato in questi termini, ci portò nelle sue piantagioni, fortificate da eolici gavitelli di bambù. Le piante più comuni lì presenti erano le tarole, il ravanastron, la sambuca, l’arciliuto, la pandora, il kin, e il tché, la turlurette, la vina, il magrepha e l’idraulo. In una serra erigeva i suoi colli numerosi e il suo alito di geyser l’organo a vapore donato a Pipino nel 757 da Costantino Copronimo, e importato nell’isola Sonante sa santa Cornelia di Compiègne. Vi si respirava ancora l’ottavino, l’oboe d’amore, il contrabbasso e il sarrussofono, la cornamusa bretone, la zampogna, il bag-pipe; la chérée del Bengala, l’hélicon contrabbasso, il serpente, il clophone, i saxhorns e l’incudine.
La temperatura dell’isola è moderata secondo la consultazione di termometri chiamati sirene. Al solstizio d’inverno, la sonorità atmosferica erra dal miagolio stridulo del gatto al ronzio della vespa, del calabrone e alla vibrazione dell’ala della mosca. Al solstizio d’estate, tutte le piante sunnominate fioriscono, fino al calore sopracuto del volo degli insetti sopra le erbe della nostra terra. La notte, Saturno vi urta il suo sistro nel suo anello. Il sole e la luna vi esplodono, all’alba e al crepuscolo, come dei cimbali divorziati.
“Ha ha !” cominciò Bosse-de-Nage desideroso d’accertarsi della sua voce prima di mischiarla alla musica universale; ma i due astri cozzarono in un bacio riconciliatore, e il piantatore celebrò questo avvenimento ridondante:
“Beato il saggio, esclamò, che, sul declivio d’una montagna, si allieta ascoltando il suono dei cimbali; solo, nel suo letto, risvegliandosi, canta: Giammai, lo giuro, i miei desideri andranno al di là di ciò che io possiedo!”
E Faustroll, prima di prendere congedo, bevve con lui del genepì distillato sulle sommità, e l’asse esalò sotto i miei remi la sua rotta cromatica. Su due stili elevati verso i due astri che suonavano le ore d’unione e di divisione del tasto nero e del tasto diurno, un bambinello nudo e un vegliardo bianco cantavano verso il doppio disco d’argento e d’oro:
Il vegliardo muggì la selezione delle sillabe immonde, e il soprano serafico riprese, unendosi al coro degli angeli, dei Troni, delle Potenze e delle Dominazioni “…pet, a-mor mor, oc-cu-pet, cu, pet, a-mor, oc-cu, semper nos amor occupet” [25].
di Ubu Roi.
E non appena l’energumeno dalla barba bianca terminò con un grido grave e una oscena contorsione la frase coprolalica, dal nostro asse, accostato sotto la stele del corpo puerile e paffuto, noi vedemmo chiaramente cadere l’armatura di cartone smaltato o di cartapesta di guignol e fiorire la barba sordida del nano sistino di quarantacinque anni.
Dal suo trono profumato d’arpe, il signore dell’isola si glorificava perché la sua creazione era buona e noi sentimmo al nostro allontanarci questa melodia:
“Beato il saggio che sulla collina dove abita, si allieta ascoltando il suono dei cimbali; solo, nel suo letto, risvegliandosi, rimane in riposo, e giura che giammai rivelerà al volgo il motivo della sua gioia!”
[24] Claude Terrasse (1867-1923), musicista, amico di Jarry, con il quale collaborò per le partiture musicali di Ubu Roi.
[25] Jarry qui gioca sulla pronuncia in francese, di chiaro riferimento scatologico, delle due sillabe “pet” e “cu” del verbo latino “occupet”, che è la medesima di pet (peto) e cul (culo).
XXIV
DELLE TENEBRE ERMETICHE E DEL RE CHE ATTENDEVA LA MORTE
A Rachide [26]
Avendo passato il fiume Oceano, che è in forte analogia, per la stabilità della sua superficie, con una strada larga o un boulevard, noi arrivammo al paese dei Cimmeri e delle Tenebre ermetiche, che tra loro differiscono come possono differire due piani non liquidi, per la grandezza e la divisione. Il luogo dove il sole si corica ha la figura, tra le pieghe incluse nel mesentere della Città, dell’appendice vermicolare di un cæcum. Pullula di vicoli ciechi e di culs-de-sac, di cui alcuni si dilatano in caverne. È in una di queste che l’astro quotidiano si arrotonda. Per la prima volta io compresi che era possibile raggiungere la parte sottostante dell’orizzonte sensibile e vedere il sole così dappresso.
Vi è un rospo mostruoso la cui bocca affiora alla superficie dell’Oceano e la cui funzione e di divorare il disco caduto, come la luna mangia le nubi. Esso si genuflette quotidianamente per la sua comunione circolare; subito il vapore gli esce dalla narice, e si alza la grande fiamma che sono le anime di qualcuno. È ciò che Platone definiva la ripartizione per sorte delle anime fuori dal polo. E il suo genuflettersi, per la struttura delle sue membra, è anche un accovacciamento. La durata del suo giubilare deglutente è dunque senza dimensione; e siccome digerisce secondo una puntualità vigorosa, il suo intestino non ha affatto coscienza dell’astro transitorio, che non è d’altronde per nulla assimilabile. Il si delinea un condotto nella diversità sotterranea della terra, e risale dall’altro polo, dove si purga degli escrementi di cui si è lordato. È da questo rilascio che nasce il diavolo Plurale.
Nel paese dove il sole tramonta perpetuo, c’è un re, preposto alla sua guardia e con destino parallelo, che attende quotidianamente la morte; egli crede che una volta la notte resterà perenne, e s’informa delle digestioni del rospo dell’orizzonte. Ma non ha il tempo di considerare l’astro che si affretta, con pancia librante, nella caverna vicina: ha uno specchio sull’ombelico che glielo riflette. Il suo unico piacere si edifica in un castello di carte, al quale aggiunge ogni mattino un piano dove vengono a fare le orge, una volta al mese, i signori delle isole transpontine. Quando il castello avrà un numero troppo grande di piani, l’astro lo urterà nella sua corsa e ciò sarà un considerevole cataclisma. Ma il re ha avuto lo scrupolo giudizioso di non erigerlo sul piano dell’eclittica. E il castello si equilibra direttamente proporzionale alla sua altezza.
Dato che si faceva sera, quando Bosse-de-Nage tirò il nostro asso sulla riva, il re secondo il suo costume attendeva la morte e il rospo baloccava, funzionalmente. Il palazzo era tappezzato di nero e si erano allestite delle poltrone a sdraio per i corpi e dei filtri al fine d’obnubilare la coscienza delle agonie. Bosse-de-Nage, quantunque non lo professasse con una loquacità sconsideratamente variegata, si piccava d’essere deontologo, e si ritenne obbligato di rivestire un abito nero e di coronare il suo cranio, simile a una cucurbita malintenzionata, d’un cappello belga le cui vibrazioni luminose si accumulavano in lunghezze d’onde uguali a quelle del suo abito, e la cui figura simulava la metà di un globo defunto.
E la notte calcolò le sue ore, al punto che si accesero le lampade.
Bruscamente il colon discendente del rospo muggì, e il bolo alimentare di fuoco puro riprese la sua rotta abituale verso il polo del diavola Plurale.
La metamorfosi fu manifesta dal duolo delle tappezzerie a un incarnato chiaro. Ci si rallegrò dei filtri attraverso il canale delle cannucce, e piccole donne essendo state sistemate sullo sfavillio delle poltrone a sdraio, Bosse-de-Nage ritenne arrivato il momento di venire al dunque:
“Ha ha !” constatò in maniera sommaria, ma vide che noi avevamo indovinato il suo pensiero, e soprattutto sorpreso crollare sul tappeto, con il fracasso recalcitrante di un riccio di ferro battuto, l’ingenuità del suo cappello belga.
[26] Rachide (1862-1953) è l’autrice di uno dei «libri pari» del dottor Faustroll, L’heure sexuelle.