
Un altro tema rilevante attiene alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e sulle trascrizioni ritardate in quanto, non essendoci alcun controllo su di esse in fase dibattimentale, il difensore non riesce ad avere una cognizione precisa di quanto stia avvenendo. L'esperienza di decenni ha evidenziato le colpe dell'interrogato per aderire ai “desiderata” investigativi: si tratta di temi su cui non c'è stato finora un confronto adeguato.

Il collaboratore rende dichiarazioni sulla base di un contratto che gli consente sia di avere un sostegno economico che per uscire dal circuito criminale. È anche evidente però che questi sono un beneficio per lo Stato che in tal modo può portare avanti i propri progetti antimafia insieme a tutti gli altri strumenti in dotazione alle istituzioni che non sono meno efficienti; la registrazione delle dichiarazioni permettono di comprendere la spontaneità di queste oppure se sono state sollecitate da terzi. L'art. 13 che disciplina la condotta del Pubblico Ministero (Pm) ricorda i valori d'imparzialità, indirizzo e indagine: altri elementi sono l'efficacia della politica giudiziaria e la trasparenza degli atti. Il Pm deve fare un approfondimento delle dichiarazioni del collaboratore nel rispetto della segretezza: tanto più sono numerose le dichiarazioni tanto più sarà difficile estrapolare quelle utili ai fini dell'indagine (convergenze del molteplice, verifica incrociata, etc.). Si tratta di un lavoro di selezione non indifferente nonché di valutazione strategica.

Sulla sufficienza dei verbali omissivi ci è un'ampia giurisprudenza tanto che si può dare per scontato il deposito, fermo restando che l'oscuramento sia legittimo. Nelle richieste d'indennizzo, il quadro si modifica in riferimento al materiale raccolto ed ai fatti perchè non si discute alla ritualità del deposito quanto la completezza del quadro accusatorio: mentre per le richieste di misura cautelare il quadro è selezionato, il Pm non ha più possibilità di tornare indietro perchè se allargasse tutte le dichiarazioni, violerebbe il segreto. Unica eccezione fu la sentenza del 1991n. 145 della Corte Costituzionale di fronte alla questione se il Giudice per le indagini preliminari (Gip) non volesse allegare certi atti, stabilì che il Pm non poteva sottrarre elementi d'indagine quando sono fondati e cioè senza alcuna possibilità di scelta. Diverso è il caso in cui il Pm ha chiesto dei fatti sul rinvio a giudizio mentre l'indagine è in corso, ad es. nel corso di un processo può rifiutarsi di depositare delle dichiarazioni.

Concludendo, avvocatura e magistratura devono collaborare per migliorare la qualità della giurisdizione in modo da prevenire gli errori giudiziari di fronte ai processi che hanno una storia “già scritta”. Ciò non vuole essere un atto di accusa ma è fuori dubbio che in questo periodo sono stati compiuti degli errori madornali come ad es. sulla strage di via D'Amelio dove la Procura di Caltanissetta vuole mettere in discussione i sette ergastoli in Sicilia a persone ritenute innocenti dalle rivelazioni di Spatuzza. Il Pm stabilisce gli atti di accusa, e ciò può rappresentare, almeno dal punto di vista della difesa, una gestione spregiudicata che, però, non è nulla in confronto al potere contrattuale del pentito che rischia di cadere nell'esibizionismo mediatico, ritornando ancora una volta su uno di quei temi già discussi in passato (interferenze tra mass media e processo penale).