L’antitesi tra Gesù e Barabba e l’attribuzione agli Ebrei della crocifissione di Cristo sono da un punto di vista storico destituiti di fondamento: non ripeterò quanto già osservato in parecchi articoli, tra cui segnatamente “Uno o due Messia?”, limitandomi a rammentare che, se Bar Abba fu un uomo che davvero visse nella Palestina del I secolo, fu il Messia di Aronne, non un malfattore.
Né è necessario ribadire che il processo di Gesù fu celebrato dai Romani per volontà dei Romani, come ha dimostrato, tra gli altri, Samuel Brandon, in un suo eccellente saggio, "Il processo di Gesù", il cui errore consiste nella mancata individuazione dei due Messia. E’ tuttavia un malinteso che solo negli ultimi decenni è stato superato, grazie ad esegeti che sono riusciti a sbrogliare l’intricata matassa evangelica. Questi biblisti hanno afferrato il filo sottile che ha permesso loro, pur tra mille difficoltà, di scovare le tracce del Messia sacerdotale, contraffatto nelle sembianze di un assassino.
Fra questi ricercatori il più meticoloso mi pare Giancarlo Tranfo al cui saggio “La croce di spine” rinvio per ogni ragguaglio in merito. Davvero commendevole l’operato di questo novello Teseo che, non perdendosi nel dedalo delle ricostruzioni, analisi, fonti, polemiche…, ha ricostruito uno scenario plausibile della Palestina nel I secolo, dilaniata da discordie, tumulti e guerre.
Comprendo l’istanza etica e l’afflato spirituale che animano la pur bella pagina del Professor Lamendola, ma se intendiamo stigmatizzare la vocazione per il male, credo sia più consono riferirsi alle potenti famiglie non tutte ebraiche (meglio khazare) che oggi, nel silenzio complice dei media istituzionali, martoriano l’umanità ed il pianeta. Gli Ebrei descritti nei Vangeli furono ora dei rivoluzionari, ora dei collaboratori di Roma, ora degli iniziati (gli Esseni?) etc., ma non gli accusatori che incriminarono Cristo e lo condannarono a morte.
Restano – è naturale – le abissali domande sulla presenza del male e sul motivo per cui molti uomini decidano(?) di pervertire la propria natura, dando l’assenso alla più ignominiosa scelleratezza. Si può aprire una digressione qui circa la spaventevole degradazione che hanno subìto gli stessi malvagi: infatti, se nei secoli passati, i pravi o erano dei delinquenti comuni o degli uomini nella cui malizia brillava tuttavia una grandezza, oggi molti individui sembrano indulgere ai più luridi vizi e delitti (la calunnia, l’aggressione squallida e gratuita, l’invidia più livida, l’incontinenza più sfacciata…). Il male che essi incarnano è meschino, miserabile, infimo. Un esempio: Alessandro il Macedone fu uomo impulsivo, lussurioso e crudele, ma capace di sognare in grande, intrepido e mosso talora da nobili passioni. Oggigiorno una figura come Barack Obama (al secolo Barry Soetoro) è una nullità che trasuda laidezza, ipocrisia e codardia da ogni poro. Un tempo sulle strade i viandanti erano assaliti dai briganti; oggi si è aggrediti da ribrezzosi personaggi che si compiacciono del turpiloquio e della loro irredimibile bassezza.
Si accennava ai quesiti cruciali che si pone l’ottimo Professor Lamendola: egli reputa che l’opzione per il male dipenda dall’ignoranza di sé stessi, da un’elusione del gnòti sautòn. Non saprei: il tema, più che complesso, mi pare inestricabile. Nondimeno, ben vengano gli interrogativi che l’autore lancia, a guisa di dardi rapidissimi di cui non si sa se centreranno il bersaglio o no. Come sempre, sono preferibili le domande acuminate alle nostre spuntate risposte.
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