GIANRICO CAROFIGLIO: LA MANOMISSIONE DELLE PAROLE
Le parole servono a comunicare e raccontare storie. Ma anche a produrre trasformazioni e cambiare la realtà. Quando se ne fa un uso sciatto e inconsapevole o se ne manipolano deliberatamente i significati, l’effetto è il logoramento e la perdita di senso. Se questo accade, è necessario sottoporre le parole a una manutenzione attenta, ripristinare la loro forza originaria, renderle di nuovo aderenti alle cose. In questo libro, atipico e sorprendente, Gianrico Carofiglio riflette sulle lingue del potere e della sopraffazione, e si dedica al recupero di cinque parole chiave del lessico civile: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta, legate fra loro in un itinerario concettuale ricco di suggestioni. Il rigore dell’indagine – letteraria, politica ed etica – si combina con il gusto anarchico degli sconfinamenti e degli accostamenti inattesi: Aristotele e don Milani, Cicerone e Primo Levi, Dante e Bob Marley, fino alle pagine esemplari della nostra Costituzione. Ne derivano una lettura emozionante, una prospettiva nuova per osservare il nostro mondo. Chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario, dichiarava Rosa Luxemburg ormai un secolo fa. Ripensare il linguaggio, oggi, significa immaginare una nuova forma di vita.
(Trascrivo dal libro di Carofiglio un passo assai noto ed interessante. Le sottolineature sono mie)
Un esempio ricavato dalla cronaca politico – giudiziaria italiana può dare un’idea di come una scelta arbitraria delle parole possa manipolare la realtà, alterandola e rendendola irriconoscibile.
Il 25 febbraio 2010 le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione si sono occupate del caso di tale Mills Mackenzie Donald David, meglio noto alle cronache giudiziarie come “l’avvocato Mills”.
Questo signore di nazionalità inglese e di professione avvocato esperto nella costituzione di società dei cosiddetti paradisi fiscali, era stato accusato di un delitto assai grave: corruzione in atti giudiziari in concorso con Berlusconi Silvio. In concreto Mills, che per conto di Berlusconi aveva creato e gestito numerose società estere offshore (All Iberian) del gruppo Fininvest, era accusato di avere ripetutamente testimoniato il falso al fine di occultare le responsabilità dello stesso Berlusconi e dunque di favorirlo, ricevendone in cambio cospicue somme di denaro.
Il procedimento, iniziato, com’è naturale, a carico del presunto corrotto e del presunto corruttore, si era scisso nell’ottobre del 2008. Il tribunale di Milano aveva infatti separato la posizione dell’imputato Berlusconi per trasmettere gli atti alla Corte Costituzionale, affinché questa valutasse la legittimità del cosiddetto lodo Alfano, la legge che aveva disposto la sospensione dei procedimenti penali nei confronti delle alte cariche dello Stato. Il lodo Alfano sarebbe stato dichiarato incostituzionale circa un anno dopo per violazione del principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Ma ciò che qui interessa è che, per effetto di quella legge, il procedimento a carico di Berlusconi venne sospeso, mentre quello a carico dell’imputato Mills proseguì fino alla condanna di quest’ultimo. Il tribunale lo ritenne infatti responsabile del reato di corruzione in atti giudiziari e lo condannò a quattro anni e sei mesi di reclusione. La Corte d’Appello confermò la condanna.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del 25 febbraio 2010, confermarono anch’esse, con un articolato ragionamento giuridico, la sussistenza del reato di corruzione in atti giudiziari del quale, però, dichiararono la prescrizione.
Prima di proseguire è bene chiarire sistematicamente due concetti.
Nel gergo degli studiosi di diritto penale, la corruzione si definisce reato plurisoggettivo, a concorso necessario.
Tradotto: perché sussista il reato di corruzione è necessario che ci siano almeno due responsabili, il corrotto (nel caso di specie appunto l’avvocato Mills) e il corruttore. Se le Sezioni unite della Cassazione, e prima di loro il tribunale e la Corte d’Appello di Milano, dicono che c’è in corrotto, dicono anche che c’è un corruttore.
La prescrizione è una causa di estinzione dei reati collegata al trascorrere del tempo. La ragione di questo istituto giuridico e che, a distanza di molto tempo dal fatto, si ritiene venga meno l’interesse dello Stato a punire la relativa condotta.
La sentenza che dichiara estinto il reato per prescrizione ha come premessa logica e giuridica la sussistenza del reato stesso. Essa è dunque, per intuibili ragioni, cosa ben diversa da una sentenza di assoluzione. Non sarà inutile, sul punto, una brevissima e inequivoca citazione della sentenza delle Sezioni Unite: “Al riguardo deve osservarsi che, alla stregua delle valutazioni dianzi effettuate, risulta verificata la sussistenza degli estremi del reato di corruzione in atti giudiziari” Cioè: l’avvocato Mills è stato certamente corrotto.
Dunque, riepilogando in estrema sintesi i termini della vicenda:
- Risulta provato, dopo ben tre gradi di giudizio, il reato di corruzione in atti giudiziari;
- Risulta provata, per conseguenza necessaria, la sussistenza tanto di un corrotto quanto di un corruttore;
- Il reato per il quale Mills era stato condannato a quattro anni e sei mesi, in primo e secondo grado, è estinto per prescrizione, cioè per il mero decorso del tempo;
- L’imputato Mills non è stato assolto.
Date queste elementari ed apparentemente incontrovertibili premesse, il 26 febbraio 2010 «il Giornale», dopo aver titolato Processi, vittoria di Berlusconi, definisce Mills “praticamente assolto” e informa i suoi lettori che Berlusconi “non dovrà presentarsi in tribunale per discolparsi”. Infine, con un totale capovolgimento del dato storico e testuale, conclude che “se non c’è più il corrotto non ci può essere più neppure il corruttore”. Quando invece, come abbiamo appena constatato leggendo la sentenza, vi è il corrotto e dunque anche il corruttore.
La sentenza di assoluzione e quella di che dichiara il reato estinto per prescrizione hanno una sola cosa in comune: l’imputato non subisce la pena. In un caso perché innocente, nell’altro perché, nonostante la sua colpevolezza, il tempo decorso implica la cessazione della cosiddetta pretesa punitiva dello Stato. Assoluzione e dichiarazione di prescrizione sono due cose diverse. Vengono rese “praticamente” uguali da una narrazione dei fatti che si fa manipolazione e sovvertimento della cronaca e, in prospettiva, della storia.
Il capovolgimento del reale si fa più evidente, e più devastante, grazie alla televisione.
L’edizione del TG1 dello stesso giorno, 26 febbraio 20101, alle 13,30, si apre col titolo: Dopo l’assoluzione dell’avvocato Mills, polemiche le opposizioni, la maggioranza dice:”Vittoria della giustizia”. E il conduttore prosegue: “Il giorno dopo la sentenza di assoluzione la politica si divide sul caso Mills”.
Abbiamo visto come la differenza fra dichiarazione di prescrizione e sentenza di assoluzione sia linguisticamente, giuridicamente, logicamente chiarissima. Mills non è stato assolto, eppure, a seguito dell’impiego abusivo della parola assoluzione, la realtà è stata manipolata, falsificata, resa altra. Per i milioni di spettatori che hanno assistito a quel telegiornale, l’avvocato Mills è stato assolto e Berlusconi è innocente,
(L’autore del libro è Gianrico Carofoglio, nato a Bari nel 1961)