Ci si deve andare. Almeno una volta nella vita. Poi, nulla sarà più lo stesso. Davvero.
Il Giappone è semplicemente questo: un altro mondo, un fluido che entra nelle vene, poi nell’anima e ci resta.
Semplicemente.
Per sempre.
Il Giappone ti rapisce e poi ti avvinghia, ti strega ed infine, senza dolore, ti tiene legato a sé.
Grazie a piccole scatole laccate, splendidi ventagli colorati, fruscianti sete finemente dipinte.
Grazie a fumetti, parchi divertimento, karaoke e sale di pachinko: flipper verticali che producono un suono infernale. Grazie agli Onsen, bagni termali in cui ci si deve lavare accuratamente prima d’immergersi. Grazie ai Cats Cafè, locali pieni di gatti domestici dove le bevande sono gratis, internet anche, così come l’utilizzo delle console e si paga solo il tempo che si trascorre in compagnia dei gatti, veri padroni di casa, che pretendono di essere accarezzati solo se prima ci si è lavati le mani.
Il Giappone ti seduce grazie alla magnetica aura di Tokyo, capitale d’oriente, devastata più volte da incendi, terremoti e dalla seconda guerra mondiale ma sempre risorta. Grazie a Kyoto, prezioso gioiello pregno di cultura, storia, tradizione, misticismo e spiritualità. Antica capitale del Giappone. Grazie a Takayama, porta temporale che permette di tornare nel periodo Edo in cui vivevano Ninja e Samurai, mercanti ed artigiani. Paese in cui si mangia il ramen più buono di tutto il mondo, in cui vecchie locande, negozi e distillerie di sakè resistono ancor oggi. E dove, inaspettatamente si respira, ad oltre 10mila km di distanza, un po’, aria di casa, aria d’Italia. Perché entrando nel “Cafè Don”, letteralmente caffè sciocco, la prima cosa che colpisce, oltre ai pizzi e merletti bianchi, oltre ai dolci chiusi in alzatine in cristallo, oltre ai due splendidi, carinissimi proprietari sempre in tenuta da lavoro, un grembiule scuro old stile ed un sorriso dipinto sul volto, è la musica italiana anni 60. E’ la voce di Domenico Modugno, di Mina e Adriano Celentano.
E poi c’è anche dell’altro, molto, moltissimo, altro. Tanto da non bastare mesi di racconti per descrivere tutto. E al ritorno non ne avevo neanche voglia, anzi; mi infastidivo quando ero costretta a farlo, per via di uno strano, malato, sentimento di possesso. E malata di Giappone lo sono tutt’ora.
Come potrei dimenticare il monte Fuji sacro e bello, o Nara la città più antica di tutte che ospita centinaia di cervi e la statua di Budda più grande della nazione. Come dimenticare il monte Koya, le case in paglia di Shirakawa-go, i cosplayer e la sede della Toyota a Nagoya. Come non ricordare gli occhi neri dei bambini sempre educati, seduti pazientemente sui sedili morbidi e sempre puliti della metropolitana. Magari quella di Tokyo. La più efficiente del mondo, la più pulita del mondo, la più affollata, tecnologica, affascinante metropolitana del mondo. Quella che non ritarda, mai, perché i treni de Sol Levante accumulano insieme tre minuti di ritardo in un anno solare, in tutto. Quella che si snoda fra gli altissimi grattaceli a vetri, ai quali sono affisse insegne luminose al neon, che riportano, ad ogni finestra, triangolini rossi ed hanno posizionati, ai quattro angoli del tetto, luci luminose sempre rosse. Segnale utile agli elicotteri, presenti a decine nei cieli di Tokyo, per volare anche a vista.
Quella stessa metropolitana che si snoda fra centinaia di giardini e altrettante opere d’arte. Quella metro che, ad ogni fermata, allieta i viaggiatori con musiche diverse, magicamente accordate allo stile del quartiere in cui ci si trova, che permettono ai viaggiatori di riconoscere ad occhi chiusi il luogo preciso in cui ci si trova. E ritrovarsi a Tokyo è un piacere. Perché guardando il Giappone ed il suo popolo in tutta la loro esotica bellezza ed in tutto il loro decoroso, impassibile contegno ci si guarda nell’anima.
E’ un luogo strano il Giappone, gelido d’inverno, torrido d’estate, che tempra il corpo e ancor di più la mente.
In Giappone, nulla è scontato e le certezze vengono smontate, una ad una. Lì la vita scorre a velocità tripla, quadrupla, ma ad un certo punto, non si sa perché, tutto si ferma. Ed è allora che i giapponesi contemplano. Contemplano la fioritura dei ciliegi, la caduta delle foglie, contemplano splendidi giardini artificiali, palazzi e grattacieli dall’architettura disarmante. E’ il Wabi – Sabi. Un concetto indefinibile quanto affascinante. Di fatto indica l’irresistibile bellezza dell’imperfetto, che evolvendosi nel tempo si confronta inesorabilmente con la propria decadenza. La bellezza della mortalità, lo splendore di ciò che non dura in eterno.
Sono strani i Giapponesi; tendono a non mostrare in pubblico le proprie emozioni, ma si sciolgono davanti ad occhi occidentali e magliette recanti la scritta “made in Italy”. Sorridono e salutano, lasciano in moto con sconosciuti turisti a bordo le proprie automobili, perché il popolo giapponese non ruba, non froda, non imbroglia, è un popolo retto, perché non esserlo per un giapponese è un onta.
Ovunque è permesso fumare, ma è proibito gettare cenere e mozziconi per terra o per strada, ecco perché i fumatori portano con sé piccoli posacenere portatili e nelle città del Giappone vi sono innumerevoli smoking area. Postazioni al chiuso o, nella maggior parte dei casi all’aperto, all’interno dei quali vi sono numerosi, giganti, posacenere; oltre che gli immancabili distributori automatici di bibite, sempre forniti, sempre illuminati, sempre utili.
Ha stile il Giappone, anche nelle piccole cose, in quelle quotidiane. Anche nei bagni pubblici. Impeccabilmente puliti, sempre profumati, incredibilmente tecnologici. Eh già, il Giappone è tecnologico, anche in questo, al punto che persino i water sono collegati a pulsantiere che riscaldano, lavano e allietano il fruitore. Le stranezze non mancano, ed arriva sempre il momento in cui il viaggio si trasforma in una continua scoperta.
Dall’altra parte del mondo tutto è diverso. I gesti sono diversi e se si utilizzano spesso si prendono lucciole per lanterne, l’inglese è diverso tanto che “Shiba Park Hotel” diventa “sibapaccotal” ed “Internet Point” “Internettopointo”. I programmi televisivi sono diversi, belli al punto dall’accanirsi a guardarli anche se non si comprende nulla. Il cibo è diverso e non esiste solo il Sushi, la cucina giapponese è variegata, genuina e buonissima ed i prodotti di altissima qualità, specialmente “Il kobe”, la carne più pregiata al mondo.
E’ l’ennesimo primato. L’ennesima scoperta. Di una terra diversa, di un ego diverso, perché il Giappone un po’ ti cambia. Visitarlo è un’esperienza che ti riempie, la mente, i pensieri, il cuore, l’esistenza, eppure allo stesso tempo ti svuota. Inspiegabilmente. Un luogo indecifrabile, un altro mondo, un fluido che entra nelle vene, poi nell’anima e ci resta. Un luogo in cui si deve andare. Almeno una volta nella vita. E per me, adesso che finalmente l’ho visto, anche due.